marzo, meditazioni

9 Marzo 2018

9 Marzo 2018 – Venerdì, III di Quaresima – (Os 14,2-10; Sal 80[81]; Mc 12,28b-34) – I Lettura: Nel brano odierno il profeta Osèa riporta una preghiera penitenziale che contiene oltre ad una richiesta di perdono anche alcuni propositi da porre in azione. È Dio stesso a suggerire le parole attraverso cui il popolo deve chiedere perdono. Da sottolineare la modalità di chiedere perdono: le parole che Dio suggerisce non sono un elenco dei peccati di cui il popolo si è macchiato, ma il riconoscimento della sua signoria. Salmo: Sono io il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egit-to… “Siamo stati tutti tratti dalla terra d’Egitto, abbiamo attraversato il mare col battesimo” (Agostino). Vangelo: Mc ci fa ascoltare, per bocca di Gesù, il nuovo comandamento per eccellenza, che è il centro e la sintesi del Vangelo, ed insieme il programma della vita di ciascun cristiano: Dio ci ha creati per l’amore. Gesù risponde a uno scriba con una mirabile sintesi di tutti i comandamenti contenuti nella Torah ebraica. Gli dirà dunque che il precetto dell’amore è il primo fra tutti: l’amore di Dio – sorgente dell’altro amore che ne è la conseguenza -, l’amore del prossimo.

Il Signore nostro Dio è l’unico Signore: lo amerai – Dal Vangelo secondo Marco: In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Riflessione: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». È bello che Gesù, riprendendo un testo dell’Antico Testamento (cfr. Lv 19,18) metta come termine di paragone all’amore verso il prossimo, l’amore verso se stessi. Non dice, infatti, “ama il prossimo come lo amo io”, oppure “ama il prossimo come meglio puoi”, ma dà una misura precisa, concreta, che ci è prossima e che toglie ogni alibi alla coscienza: ama il tuo prossimo come ami te stesso! E noi ci amiamo, e non poco! Possiamo prendere come passo parallelo la regola d’oro che ci consegna Gesù nel discorso della montagna: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). Potremmo vedere quest’a-more riferito in ogni campo della nostra vita, del nostro agire morale, dei nostri rapporti personali, della nostra disponibilità verso il prossimo… ma vorrei cercare di continuare il discorso già iniziato ieri, e quindi soffermarci sul come applicare questa regola d’oro dell’amore verso il prossimo come se stessi, partendo dall’uso della lingua. “Ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare l’affermazione del prossimo che a condannarla; e se non la possa salvare, cerchi di sapere quale significato egli le dia; e, se le desse un significato erroneo, lo corregga con amore; e, se non basta, cerchi tutti i mezzi adatti perché, dandole il significato giusto, si salvi” (Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, 22). Il Catechismo della Chiesa Cattolica si sofferma molto su questi peccati che distruggono la reputazione e la dignità del prossimo, ma distruggono la comunione tra gli uomini ferendo in profondità la dignità che Dio ci ha donato: “Maldicenze e calunnie distruggono la reputazione e l’onore del prossimo” (n. 2479). “È da bandire qualsiasi parola o atteggiamento che, per lusinga, adulazione o compiacenza, incoraggi e confermi altri nella malizia dei loro atti e nella perversità della loro condotta. L’adulazione è una colpa grave se si fa complice di vizi o di peccati gravi” (n. 2480). “La iattanza o millanteria costituisce una colpa contro la verità. Ciò vale anche per l’ironia che tende ad intaccare l’apprezzamento di qualcuno caricaturando, in maniera malevola, un qualche aspetto del suo comportamento” (n. 2481).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Non sei lontano dal regno di Dio – Giovanni Paolo II (Omelia, 4 Novembre 1979): Quando il Signore Gesù risponde alla domanda di uno degli scribi, risale a questa stesura della Legge divina, rivelata nell’Antica alleanza: “Qual è il primo di tutti i comandamenti!”. “Il primo è… amerai… il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. “E il secondo è questo. Amerai il prossimo tuo come te stesso”. “Non c’è altro comandamento più importante di questi” (Mc 12,29-31). Quell’interlo-cutore, che è stato rievocato da san Marco, ha accettato con riflessione la risposta di Cristo. L’ha accettata con profonda approvazione. Occorre che anche noi, oggi, riflettiamo brevemente su questo “più grande comandamento”, per poterlo accettare di nuovo con piena approvazione e con profonda convinzione. Prima di tutto, Cristo diffonde il primato dell’amore nella vita e nella vocazione dell’uomo. La più grande vocazione dell’uomo è la chiamata all’amo-re. L’amore dà pure il significato definitivo alla vita umana. Esso è la condizione essenziale della dignità dell’uomo, la prova della nobiltà della sua anima. San Paolo dirà che esso è “il vincolo della perfezione” (Col 3,14). È la cosa più grande nella vita dell’uomo, perché il vero amore porta in sé la dimensione dell’eternità. È immortale: “la carità non avrà mai fine” leggiamo nella prima lettera ai Corinzi (13,8). L’uomo muore per quanto riguarda il corpo, perché tale è il destino di ognuno sulla terra, però questa morte non danneggia l’amore, che è maturato nella sua vita. Certo, esso rimane soprattutto per rendere testimonianza dell’uomo dinanzi a Dio, che è l’amore. Esso designa il posto dell’uomo nel Regno di Dio; nell’ordine della Comunione dei Santi. Il Signore Gesù al suo interlocutore nel Vangelo odierno – vedendo che egli comprende il primato dell’amore tra i comandamenti – dice: “Non sei lontano dal regno di Dio” (Mc 12,34).

Priorità della fede, primato della carità – Benedetto XVI (Messaggio per la Quaresima 2013): Come ogni dono di Dio, fede e carità riconducono all’azione dell’unico e medesimo Spirito Santo (cfr. 1Cor 13), quello Spirito che in noi grida «Abbà! Padre» (Gal 4,6), e che ci fa dire: «Gesù è il Signore!» (1Cor 12,3) e «Maranatha!» (1Cor 16,22; Ap 22,20). La fede, dono e risposta, ci fa conoscere la verità di Cristo come Amore incarnato e crocifisso, piena e perfetta adesione alla volontà del Padre e infinita misericordia divina verso il prossimo; la fede radica nel cuore e nella mente la ferma convinzione che proprio questo Amore è l’unica realtà vittoriosa sul male e sulla morte. La fede ci invita a guardare al futuro con la virtù della speranza, nell’attesa fiduciosa che la vittoria dell’amore di Cristo giunga alla sua pienezza. Da parte sua, la carità ci fa entrare nell’amore di Dio manifestato in Cristo, ci fa aderire in modo personale ed esistenziale al donarsi totale e senza riserve di Gesù al Padre e ai fratelli. Infondendo in noi la carità, lo Spirito Santo ci rende partecipi della dedizione propria di Gesù: filiale verso Dio e fraterna verso ogni uomo (cfr. Rm 5,5). Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l’Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l’Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pienezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da essa. Tutto parte dall’umile accoglienza della fede («il sapersi amati da Dio»), ma deve giungere alla verità della carità («il saper amare Dio e il prossimo»), che rimane per sempre, come compimento di tutte le virtù (cfr. 1Cor 13,13).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: La legge dell’amore – «Gesù Cristo ci insegna ciò che è giusto, onesto, utile, e tutte le virtù, in pochissime parole, chiare, comprensibili a tutti, come quando dice: “In due comandi si riassumono la legge e i profeti” [Mt 22,40], cioè nell’amore verso Dio e nell’amore verso il prossimo; oppure, quando ci dà questa norma di vita: “Fate agli altri tutto ciò che voi volete ch’essi facciano a voi. Sta in questo la legge e i profeti” [Mt 7,12]. Non c’è contadino, né schiavo, né donna semplice, né fanciullo, né persona di limitata intelligenza che non riesca a comprendere facilmente queste parole: nella loro chiarezza, infatti, è il segno della verità, e l’esperienza ha dimostrato questo» (Giovanni Crisostomo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Ascolta, o Israele – Questa espressione diventerà l’inizio della preghiera detta Shema, la più cara al cuore degli Ebrei. Preghiera e amore, culto e carità, unità che Gesù non ha scisso. La carità senza preghiera diventa narcisismo, l’amore senza culto diventa filantropia. Oggi nel mondo cristiano la preghiera sembra essere un po’ negletta. È più facile per molti correre sulle ali del servizio sociale in quanto gratifica, perché mette l’operatore al centro dell’attenzione pubblica accendendo abbacinanti riflettori, perché apparecchia elettrizzanti talk show… la preghiera invece si fa compagna del nascondimento, tiene lontano dalle piazze (Mt 6,4-5) e a molti non piace. Per il Catechismo della Chiesa Cattolica (2697), la preghiera è «la vita del cuore nuovo. Deve animarci in ogni momento. Noi, invece, dimentichiamo colui che è la nostra Vita e il nostro Tutto. Per questo i Padri della vita spirituale, nella tradizione del Deuteronomio e dei profeti, insistono sulla preghiera come “ricordo di Dio”, risveglio frequente della “memoria del cuore”: “È necessario ricordarsi di Dio più spesso di quanto si respiri”». Se nell’inconscio «di molti cristiani, pregare è un’occupazione incompatibile con tutto ciò che hanno da fare» (ibidem 2726), pochissimi sanno che quando i casi si aggrovigliano, quando tutto sembra svanire, quando i problemi si assommano o diventano disperati allora è il caso di piegare le ginocchia. Prima di lanciarsi in molteplici attività caritative, il credente dovrebbe imparare a farle precedere, accompagnare, seguire dalla preghiera. L’esempio l’ha dato Gesù: Egli prega prima di iniziare la vita pubblica, prima di scegliere i suoi compagni, prega prima di trasfigurarsi sul monte, prega nell’Orto degli ulivi prima di consegnarsi nelle mani degli aguzzini, quando è issato sulla Croce prega per i suoi crocifissori, per il mondo intero. Ivan Turgenev, lo scrittore russo più apprezzato e conosciuto nell’Europa del XIX secolo, ebbe a dire: «Per qualunque cosa un uomo preghi, egli prega per un miracolo. Ogni preghiera si riduce a questo: “Dio onnipotente, fai che due per due non faccia quattro”». Per il credente questa preghiera è vera, perché il buon Dio, nell’operare nella storia dell’uomo, spesso ignora la tavola pitagorica.

Santo del giorno: 9 Marzo – San Domenico Savio: Ancora bambino decise quale sarebbe stato il suo progetto di vita: vivere da vero cristiano. Tale desiderio venne accentuato dall’ascolto di una predica di don Bosco, dopo la quale decise di divenire santo. Da questo momento, infatti la sua esistenza fu piena d’amore e carità verso il prossimo, cercando in occasione di dare l’esempio. Nel 1856 fondò la Compagnia dell’Immacolata e poco più tardi morì, lasciando un valido e bel ricordo della sua persona ai giovani cristiani.

Preghiamo: Padre santo e misericordioso, infondi la tua grazia nei nostri cuori, perché possiamo salvarci dagli sbandamenti umani e restare fedeli alla tua parola di vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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