marzo, meditazioni

10 Marzo 2018

10 Marzo 2018 – Sabato, III di Quaresima – (Os 6,1-6; Sal 50[51]; Lc 18,9-14) – I Lettura: Nonostante l’invito insistente di Isaìa di non rivolgersi al re straniero, il re di Giuda chiede l’intervento della signoria assira che arriva velocemente e devasta con brutalità tutto il territorio. Di fronte a questa tragedia, finalmente, ci si rende conto che ciò che è avvenuto è causato dalla disobbedienza e dalla infedeltà a Dio. A questo punto, però, finalmente, ci si rivolge a Dio dopo la sconfitta, convinti che una conversione rimetterà a posto le cose. Salmo: “Parzialmente mi conosco, non come mi conosci tu, non come sono da te conosciuto: il mio cuore resta incomprensibile anche a me stesso, ma tu scruti gli abissi” (Anselmo). Vangelo: In questo brano abbiamo due modelli di fede e di preghiera. Da una parte il fariseo che sta davanti al proprio io. Egli è sicuro della sua bontà, giustifica se stesso e condanna gli altri. Dall’altra il pubblicano che, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in sé, si accusa e invoca il perdono. Sarà proprio il pubblicano a vedere esaudite le sue preghiere e ottenere giustificazione da Dio in merito alla sua umiltà.

Il pubblicano tornò a casa sua giustificato, a differenza del fariseo – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Riflessione: Se ieri abbiamo visto alcuni “difetti” nati dalla lingua, che ostacolano o distruggono l’amore verso il prossimo, oggi il Vangelo ci fa soffermare sui danni che la lingua (ma ricordiamoci che quando parliamo di lingua, parliamo del cuore, dove nascono i sentimenti che la lingua esprime!) ci fa commettere nei confronti di Dio. Quando il nostro cuore non è capace di amare il prossimo, è pronto a riversare su questo ogni tipo di maldicenza e menzogna, calunnia e offesa. E così, quando il nostro cuore non ama «Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza», è capace di pronunciare nei suoi confronti parole insipienti, di accusa o di adulazione, nel vano tentativo di renderlo colpevole di ciò che non ci aggrada, oppure nel tentativo, ancora più vano, di piegare la sua volontà e i suoi progetti ai nostri capricci. È ciò che accade al fariseo della parabola: egli cerca di accattivarsi l’amicizia e la simpatia di Dio con parole convincenti, atte a dimostrare le sue azioni volte a soddisfare le richieste di Dio nella Legge e attraverso i profeti, ma se ne tornerà senza essere stato giustificato da Dio perché seppur dentro il Tempio con il corpo, il cuore di quell’uomo è lontano da Dio. Nella prima Lettura, per mezzo del profeta Osèa, Dio afferma: «voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocàusti». Spesso noi pensiamo di conoscere Dio solo perché crediamo in lui, o perché preghiamo, o perché ne abbiamo sentito parlare al catechismo: ma davvero possiamo dire di conoscere Dio? Anche oggi si lamenta e ci esorta, come ai tempi del profeta Isaìa, dicendo: «Questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani» (Is 29,13). In questo tempo di Quaresima impegniamoci a “conoscere Dio”, chiedendo la grazia di entrare dentro il mistero del suo amante Cuore, evitiamo di sprecare parole (cfr. Mt 6,7), non illudiamoci nel ricercare quali siano le azioni più o meno mortificanti che potrebbero risultargli graditi (fioretti, digiuni e penitenze varie): piuttosto impariamo a ragionare come lui, ad avere i suoi sentimenti, a vivere col suo amore.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 8 Maggio 2002): Nella confessione del Miserere c’è una sottolineatura particolarmente marcata: il peccato non è colto solo nella sua dimensione personale e “psico-logica”, ma è delineato soprattutto nella sua qualità teologica. “Contro di te, contro te solo ho peccato” (Sal 50,6), esclama il peccatore, a cui la tradizione ha dato il volto di Davide, consapevole del suo adulterio con Betsabea, e della denuncia del profeta Natan contro questo crimine e quello dell’uccisione del marito di lei, Uria (cfr. v. 2; 2Sam 11-12). Il peccato non è, quindi, una mera questione psicologica o sociale, ma è un evento che intacca la relazione con Dio, violando la sua legge, rifiutando il suo progetto nella storia, scardinando la scala dei valori, “cambiando le tenebre in luce e la luce in tenebre”, cioè “chiamando bene il male e male il bene” (cfr. Is 5,20). Prima che un’eventuale ingiuria contro l’uomo, il peccato è innanzitutto tradimento di Dio. Emblematiche sono le parole che il figlio prodigo di beni pronunzia davanti a suo padre prodigo d’amore: “Padre, ho peccato contro il cielo – cioè contro Dio – e contro di te!” (Lc 15,21).

Il messaggio della parabola del fariseo e del pubblicano – Veritatis Splendor 104: Mentre è umano che l’uomo, avendo peccato, riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per la propria colpa, è invece inaccettabile l’atteggia-mento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo, anche senza bisogno di ricorrere a Dio e alla sua misericordia. Un simile atteggiamento corrompe la moralità dell’in-tera società, perché insegna a dubitare dell’oggettività della legge morale in generale e a rifiutare l’assolutezza dei divieti morali circa determinati atti umani, e finisce con il confondere tutti i giudizi di valore. Dobbiamo, invece, raccogliere il messaggio che ci viene dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18,9-14). Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è pero su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all’infinita santità di Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell’uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza “penitente”, che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze, quali che ne siano le giustificazioni soggettive, una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza “soddisfatta di se stessa”, che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Le lacrime e il desiderio – «Anima che piangi i tuoi peccati, temi il giudizio divino, che è un profondo abisso. Temi, ripeto, temi fortemente di dispiacere a Dio,  anche se sei già un po’ pentito. Temi ancor più, anche adesso, di offendere Dio di nuovo. Temi soprattutto di essere alla fine separato da Dio, privato per sempre di luce, bruciato in continuazione dal fuoco e roso dai vermi che mai periranno. Temi tutto ciò, se una vera penitenza non ti ottiene di morire in grazia, e canta col Profeta: “Tu fai fremere di spavento la mia carne, io temo i tuoi giudizi” (Sal 119,120). Non di meno desidera i doni celesti. Elevati con la fiamma del divino amore fino a Dio, che ti ha così pazientemente sopportato nel peccato, ti ha atteso con tanta longanimità, e ricondotto alla penitenza con tanta misericordia, col perdono, l’infusione della grazia e la promessa della corona eterna. Ti chiede solo di offrirGli, o piuttosto di ricevere da Lui stesso per offrirGli, “il sacrificio di uno spirito affranto, di un cuore contrito e umiliato” (Sal 51,19) con amara compunzione, una sincera confessione ed un’adeguata riparazione» (Bonaventura).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Due uomini salirono al tempio per pregare, uno era fariseo e l’altro pubblicano – La cornice entro la quale l’evangelista Luca pone la parabola è un insegnamento sull’umiltà (cfr. v. 14: Vi dico… chi invece si umilia sarà esaltato). Se la parabola è narrata per riprovare l’operato ipocrita dei farisei, non vuole sottintendere una sentenza di demerito o di condanna sul gruppo storico dei farisei. Occorre, quindi, comprendere il giudizio di Gesù. Egli loda la fede del pubblicano, ma non approva il suo peccato. Il peccatore deve pentirsi e convertirsi (cfr. Mt 3,2; 4,17); deve tendere al possesso di un cuore nuovo e dimostrare il suo pentimento con preghiere, digiuni ed elemosine (cfr. Tb 12,8-9; 1Pt 4,8). Gesù rimprovera l’arroganza dei farisei che con i loro sedicenti meriti credono di potere pilotare il giudizio di Dio e di tirarselo dalla loro parte, ma non disprezza il loro amore per la legge di Dio, la giustizia e lo sforzo di inculcarlo nel cuore degli uomini (cfr. Mt 23,3). Il fariseo stando in piedi… Il fariseo è l’immagine dell’uomo amato, adulato, onorato dal mondo per quello che ha e per quello che fa, per il posto sociale che occupa, e non per quello che è. Digiuno due volte… Il fariseo va al di là delle prescrizioni: digiuna il Lunedì e il Giovedì, mentre questa pratica penitenziale è prescritta una volta all’anno, nel giorno dell’espiazione (Kippur). Così per la decima. La legge comanda il pagamento della decima sui principali prodotti (Dt 14,22-23); il fariseo invece, la paga su tutti i prodotti e per questo si ritiene più giusto degli altri. Sulla sponda opposta il pubblicano, il quale stava a distanza e non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo. I pubblicani sono i “senza legge”, “gente maledetta” (Gv 7,49), o per il mestiere che esercitavano o perché collaborazionisti dell’odiato potere romano. La partita doppia di questo povero uomo non ha voci né di credito né di debito; il pubblicano sa soltanto battersi il petto e chiedere perdono di tutti i suoi peccati: pensieri, parole, opere ed omissioni. E forse nella conta esagerava un po’! Io vi dico… Umiltà, fede, preghiera, penitenza…, queste sono le vie maestre che conducono l’uomo al cuore di Dio e obbligano Dio a volgere il suo sguardo pietoso sulla creatura: «Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola» (Is 66,2). Negli ultimi versetti della parabola possiamo cogliere così «l’idea centrale della parabola e dell’insegnamento di Gesù: ciò che ci rende giusti, graditi a Dio, non sono i nostri meriti, le nostre virtù. Ciò che vi è di nostro in noi ci allontana da Dio, solo ciò che vi è di suo in noi ci avvicina a lui: il suo perdono e la sua grazia, accompagnati, da parte nostra, dalla penitenza e dalla fede» (Carlo Ghidelli, Luca).

Santo del giorno: 10 Marzo – San Vittore, Martire in Africa: “Sono parecchi i santi di nome Vittore venerati dalla Chiesa, ma ad esclusione dei Corpi Santi questo è sicuramente quello su cui possediamo meno notizie. Anzi, ad onor del vero, nulla ci è stato tramandato se non il suo nome: fu infatti Possidio, biografo di Sant’Agostino, ad elencare nell’Indiculus un sermone che il grande santo dedicò al martire Vittore. È però impossibile risalire a quale dei numerosi santi omonimi vissuti nell’Africa settentrionale si potesse riferire. Certo è, invece, che il Cardinal Baronio lo inserì nel Martyrologium Romanum in data 10 marzo” (Fabio Arduino).

Preghiamo: O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti. Per il nostro Signore…

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *