La Famiglia

img-20141022-wa0036L’Opus Matris Verbi Dei sin dal suo sorgere ha compreso la centralità della famiglia, colta come disegno di Dio. Per la sua crescita e santificazione in special modo ha indirizzato e sempre indirizzerà ogni sforzo pastorale, convinta che il risanamento morale e cristiano della famiglia costituisca la base per risanare il mondo e rievangelizzare la Chiesa. Pertanto si propone di fondare gruppi e piccole comunità di famiglie fortemente impegnate nel Vangelo, fondate sulla Parola, l’Eucaristia e il servizio carismatico in perfetta armonia con i Pastori della Chiesa e in diretta dipendenza del Magistero. Curerà la formazione dei nubendi, mediate corsi di formazione e di pastorale familiare.

La costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, affrontando alcuni problemi urgenti della società contemporanea, incomincia proprio dal matrimonio e dalla famiglia: La salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare. Però subito dopo afferma che non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla con identica chiarezza, poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni (n. 47).

Ideale e realtà nel matrimonio


La Bibbia ci offre un quadro teologico altissimo del matrimonio e della famiglia, ma ci fa vedere anche che questo ideale non sempre è stato realizzato.
Così nella Bibbia coesistono il progetto ideale (sul quale insisteremo di più perché è il messaggio teologico valido per sempre) e la realtà che, soprattutto nell’AT, è piuttosto deludente.

a) Ombre e luci nell’esperienza matrimoniale

Subito dopo averci descritto il quadro ideale del matrimonio, la Genesi ci descrive l’assassinio di Abele da parte di Caino: il fratello uccide il fratello.
Nella famiglia di Caino, il figlio Lamech per primo viola la legge della monogamia prendendo due mogli (Gen 4,19). Però, a differenza di Lamech e dei cosiddetti figli di Dio (Gen 6,1-4) che si danno senza ritegno alle intemperanze sessuali, Noè è monogamo e ha tre figli.
Proprio per la sua bontà e rettitudine Dio, giusto giudice, lo salva dal diluvio con tutta la sua famiglia, alla quale, come germe e simbolo della nuova umanità, rinnova la benedizione già accordata alla prima coppia umana: Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: “Siate fecondi, moltiplicatevi e riempite la terra” (Gen 9,1; cfr 1,28).
Con Abramo inizia una catena diretta di famiglie, che passa attraverso Davide, per sfociare nella famiglia di Nazaret. La Genesi ha come spina dorsale tre famiglie: quelle di Abramo, Isacco e Giacobbe.
Nel presentare queste tre famiglie, l’autore sacro è più intento a far risaltare il piano divino attraverso di esse che la loro esemplarità. Così, ad es., Abramo pratica una specie di poligamia accostandosi alla schiava Agar per avere un figlio, Ismaele.
Non è corretto il suo comportamento neppure quando presenta Sara come sorella invece che moglie, per non aver fastidi quando essa viene richiesta per soddisfare le voglie di Abimelech (Gen 12,10-20) o del faraone (Gen 20)
Meno esemplare ancora è la famiglia di Giacobbe, a cui Dio stesso cambia il nome in Israele (Gen 32), per farne il capostipite del suo popolo: i suoi figli, che danno origine alle dodici tribù di Israele, nascono da due mogli di primo grado, Lia e Rachele, e da due mogli di secondo grado, Zilpa e Bila (Gen 29).
Se passiamo a Davide, la situazione è ancora peggiore: coraggioso soldato e condottiero, abile diplomatico, di forte religiosità, egli è però facilmente attratto dal fascino delle donne ed è debole con i figli. Egli ha presso di sé un vero harem di mogli e concubine (2 Sam 3,2-5.15; 11,2-27; 15,16).
I suoi numerosi figli, che gli sono stati causa di enormi sofferenze, più che le sue virtù hanno ereditato i suoi vizi: Amnon violenta la sorellastra Tamar (2 Sam 13,1-22) che Assalonne vendica assassinando il fratello (2 Sam 13,23-38). Assalonne si ribella contro il padre, insidiandogli il trono e costringendolo a fuggire da Gerusalemme (2 Sam 15-19). Del re Salomone si dice che avesse 700 mogli e 300 concubine (1 Re 11,37).
Accanto a queste, però, ci sono delle famiglie che vivono il matrimonio in maniera esemplare, con tutte le ricchezze d’amore, di fedeltà, di fecondità e di educazione dei figli che risultano dal progetto originario di Dio. Si pensi alla famiglia di Rut e al matrimonio di Tobia.
Particolarmente significativa è la preghiera che Tobia e Sara innalzano al Signore all’inizio della loro vita coniugale: Tu (Dio) hai creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e di sostegno. Da loro nacque tutto il genere umano… Ora, non per lussuria io prende questa mia parente, ma con rettitudine d’intenzione. Degnati di avere misericordia di me e di lei e di farci giungere insieme alla vecchiaia (Tb 8,6-7).
Questo sta a dire che, nonostante le molte ombre derivanti dal circostante ambiente culturale sul mondo ebraico, l’ideale del matrimonio monogamico, vissuto nell’amore e nella gioia dei figli, veniva sentito e normalmente anche praticato in Israele.

L’insegnamento matrimoniale presso i profeti


Perché tale ideale rimanesse sempre limpido, hanno dato un apporto determinante i profeti, che hanno presentato l’allegoria nuziale per esprimere il rapporto d’amore e di fedeltà fra Dio e Israele.
Essi, in realtà, utilizzano un po’ tutte le immagini desunte dall’ambiente familiare per esprimere i rapporti di Dio con il suo popolo.
Dio si presenta come una madre: Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se questa donna si dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai (Is 49,15-16).
E per esprimere la gioia della liberazione dall’esilio viene portato l’esempio della gioia nuziale: Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio… come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli (Is 61,10); Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te (Is 62,5).

b) L’allegoria nuziale per esprimere l’alleanza di Dio con Israele

I profeti adoperano di preferenza l’immagine nuziale per descrivere i rapporti di Dio con Israele: egli è il fidanzato o lo sposo sempre fedele, mentre Israele è la fidanzata o la sposa molte volte infedele.
È Osea che per primo adopera questa immagine, forse partendo da una esperienza matrimoniale fallimentare: la moglie Gomer, infatti, si dà alla prostituzione.
La prostituzione della moglie diventa simbolo dell’infedeltà di Israele, che arriva perfino al culto delle divinità straniere, il quale porta con sé anche vere e proprie aberrazioni sessuali.
Dio, però, sempre fedele, non si arrende e progetta un nuovo fidanzamento con il suo popolo: Pertanto, ecco io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore (Os 2,16).
Il richiamo del deserto rimanda al periodo dell’innamoramento, quando Israele seguiva il suo Dio più da vicino. Il nuovo fidanzamento, però, non dovrà più essere rotto da nuove infedeltà: Ti fidanzerò a me per l’eternità, ti fidanzerò a me nella giustizia e nel diritto, nella tenerezza e nell’amore… (Os 2,21-22).
Geremia riprende il tema di Dio-sposo in modo ancora più tenero, ricordando soprattutto l’entusiasmo del primo amore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata (Ger 2,2).
Proprio per questo è più acuto il rimprovero che viene rivolto al popolo infedele: Perché il mio popolo dice: “Ci siamo emancipati, non faremo più ritorno a te?”.
Si dimentica forse una vergine dei suoi ornamenti, una sposa della usa cintura? Eppure il mio popolo mi ha dimenticato per giorni innumerevoli” (Ger 2,31-32).
L’immagine è ripresa da Ezechiele che ci presenta Israele come una fanciulla abbandonata di cui Dio si invaghisce fino a farla sua: Passai vicino a te e ti vidi; ecco la tua età era l’età dell’amore; io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità; giurai alleanza con te, dice il Signore Dio, e divenisti mia (Ez 16,8). L’immagine ricorre anche più frequentemente in Isaia, dove le difficoltà dell’esilio e del reinserimento in patria vengono addolcite dal ricordo di Dio che è lo sposo e perciò non abbandona il suo popolo: Non temere, perché non dovrai più arrossire… Poiché il tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra (Is 54,4-6).
b) Portata teologica dell’allegoria
L’immagine nuziale è importante per due motivi. Per un verso, Dio non avrebbe potuto prendere come simbolo del suo amore verso Israele la realtà matrimoniale, se essa non fosse stata sentita e vissuta, almeno normalmente, come realtà di amore e fedeltà totale.
Per un altro verso, Dio vuole dare un vero e proprio ammaestramento sul matrimonio: esso ha significato nella misura in cui riflette i costumi di Dio, ne imita gli atteggiamenti, ne assume i valori.
C’è un reciproco intreccio fra la realtà matrimoniale presa a simbolo e il progetto matrimoniale che Dio ripropone ai credenti.

La letteratura sapienziale


Tutto il filone della letteratura sapienziale esalta i valori del matrimonio e della famiglia.

a) Il dono dei figli

Il Salmo 127 afferma che la benedizione di Dio sta alla base della famiglia e che i figli sono un suo dono: Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori… Ecco, dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo.
A proposito dei figli, si insiste molto sia sul dovere di educarli, sia sull’obbligo che essi hanno di rispettare i genitori: Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta, per gioire di lui alla fine. Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio e se ne potrà vantare con i suoi conoscenti (Sir 30,1-2; cfr Pr 1,8).
Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati (Sir 3,2-3).

b) La moglie virtuosa e la donna adultera

Il Siracide esalta la felicità dell’uomo che ha trovato una moglie virtuosa: Beato il marito di una donna virtuosa; il numero dei suoi giorni sarà doppio.
Una brava moglie è la gioia del marito, questi trascorrerà gli anni in pace. Una donna virtuosa è una buona sorte, viene assegnata a chi teme il Signore (Sir 26,1-3).
Nello stesso tempo condanna severamente l’adulterio, sia da parte dell’uomo che della donna: L’uomo infedele al proprio letto dice fra sé: “Chi mi vede? Tenebre intorno a me e le mura mi nascondono; nessuno mi vede, chi devo temere? Dei miei peccati non si ricorderà l’Altissimo”. Egli però si illude, perché gli occhi di Dio penetrano fin nei luoghi più segreti (Sir 23,18-19).
Più duro ancora è il giudizio sulla donna adultera: Così della donna che abbandona il suo marito, e gli presenta eredi avuti da estranei. Prima di tutto ha disobbedito alle leggi dell’Altissimo, in secondo luogo ha commesso un torto verso il marito, in terzo luogo si è macchiata di adulterio e ha introdotto in casa figli di un estraneo (Sir 23,22-23).

c) Il messaggio nuziale del Cantico dei cantici

C’è nella letteratura sapienziale un libro che è tutto dedicato all’amore umano, nella tensione del desiderio che poi sfocerà nel matrimonio: il Cantico dei cantici.
Questo piccolo poema è tutto un dialogo d’amore tra uomo e donna che si cercano reciprocamente con gioia e trepidazione: si tratta contemporaneamente dell’esaltazione dell’amore umano e dell’amore di Dio verso Israele.
E proprio per questo l’amore deve essere duraturo, come si esprime la sposa con immagini ardite: Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione; le sue vampe sono come vampe di fuoco, una fiamma di Dio. Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo (Ct 8,6-7).
Nulla può estinguere l’amore autentico! È un messaggio indubbiamente molto profondo, in cui si fondono l’esperienza umana e il messaggio profetico che ha preso questa esperienza come simbolo dell’amore indefettibile di Dio verso il suo popolo.

Il progetto originale di Dio su il matrimonio

Una visione così alta dell’amore sponsale, anche nei suoi elementi di attrazione fisica, che ci trasmette il Cantico dei cantici, corrisponde al progetto originario di Dio, che troviamo delineato nel secondo racconto della creazione trasmessoci dal libro della Gen 2,18-23.

a) La tradizione jahwista
Questo racconto risale al X secolo a.C. ed esprime realtà teologiche molto profonde.
Prima di tutto l’uomo è chiamato ad uscire dalla sua solitudine: Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile (2,18).
Ma gli animali che Dio crea e mette a disposizione dell’uomo, non sono l’aiuto degno di lui: Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò, gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola che aveva tolto all’uomo una donna, e la condusse all’uomo (2,21-22).
È chiaro che il linguaggio, tutto carico di immagini, non vuole narrare un evento storico, ma afferma semplicemente che la donna non è estranea all’uomo, anzi è come una parte di lui, con la medesima dignità, capace di dialogare e di amare.
Per questo l’uomo intona il primo canto nuziale dell’umanità: Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa. La si chiamerà donna, poiché dall’uomo è stata tolta (v. 23).
L’ultima frase in ebraico contiene un gioco di parole non riproducibile in italiano: ‘is = uomo, ‘ishshah = donna. Anche con questa assonanza linguistica l’autore vuole esprimere l’unità dei due sessi, pur nella loro distinzione.

b) La tradizione sacerdotale

Il primo racconto della creazione, che risale alla tradizione sacerdotale (VI sec. a.C.), esprime in maniera ancora più solenne l’unità dell’uomo e della donna, pur nella differenziazione dei sessi, che è voluta da Dio per la procreazione del genere umano. Il sesso perciò è una realtà integrativa che si comprende solo in dialogo con il partner.
Come coronamento dell’opera della creazione, Dio crea l’uomo, che è tale solo in quanto maschio-femmina: E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra…” (Gen 1,26-28).

Mettiamo in evidenza due cose.

La prima. L’uomo è immagine di Dio nella dualità di maschio e femmina: né il maschio né la femmina, presi isolatamente, sono immagine di Dio.
La dialogicità dei sessi diversi già apre al dono, all’amore, alla fecondità, riproducendo così l’immagine di Dio che è essenzialmente amore che si dona.
La seconda. Il comando di generare: Siate fecondi e moltiplicatevi… La sessualità ha il suo sbocco e la sua specifica finalità nella trasmissione della vita. Un compito talmente grande che ha bisogno della benedizione di Dio per essere espletato.
Pur accentuando la finalità procreativa, questo testo non esclude la finalità affettiva.
Il fatto che Dio abbia creato l’uomo a sua immagine proprio in quanto maschio e femmina include necessariamente in sé la forza attrattiva dell’amore.
È l’equilibrio di questi due elementi (unitivo e procreativo) che deve segnare per sempre il matrimonio come Dio l’ha concepito nel suo disegno originario.
Sappiamo però che il peccato originale ha infranto questo equilibrio, intaccando la serenità dei rapporti tra l’uomo e la donna; anche la sessualità verrà distorta dai suoi fini propri, come dice subito dopo il testo: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze… Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà (Gen 3,16). Invece che dono reciproco e sereno, la sessualità diventerà strumento per tiranneggiarsi a vicenda.
Su questo sfondo di perdita di senso della sessualità si spiegano tutte le deviazioni che hanno segnato la storia d’Israele e dell’umanità: poligamia, divorzio, asservimento della donna, violenza sessuale…

La dottrina sul matrimonio nel Nuovo Testamento

Cristo, rivelatore ultimo della volontà del Padre, venuto a compiere la nostra salvezza, cercherà di riportare il matrimonio al disegno originario di Dio.

a) L’interesse di Gesù per la famiglia

Gesù nasce in una famiglia. In una famiglia dove la parola di Dio gode di un primato assoluto e dove l’amore totalmente disinteressato è regola per tutti.
Anche nella sua vita pubblica Gesù manifesterà tutto il suo interesse per la famiglia, dimostrando di conoscerne pregi e difetti, gioie e sofferenze. Il primo dei suoi miracoli è per una coppia di sposi! La sua amicizia per Lazzaro, Marta e Maria è commovente.
A Pietro guarisce la suocera malata. Ama i bambini con una tenerezza più che materna e rimprovera i discepoli che vogliono allontanarli; anzi, li propone come esempio per chi vuol entrare nel regno dei cieli: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso (Mc 10,13-16).

b) La famiglia deve trascendersi

Gesù non fa della famiglia un assoluto: vuole che essa sia aperta alle esigenze di Dio, che può chiedere perfino di abbandonarla e di subordinarla ai suoi progetti.
È quanto risponde a chi gli annuncia che sua madre e i suoi parenti lo stanno cercando: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre (Mc 3,31-35).
Con ciò egli pone le premesse per una scelta di vita diversa dal matrimonio.

c) Matrimonio e divorzio nel pensiero di Gesù

Nel testo che esaminiamo Gesù esprime il suo pensiero sul matrimonio. Durante il suo viaggio verso Gerusalemme alcuni farisei, per metterlo alla prova, gli chiedono: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? (Mt 19,3). Gesù si pone al di sopra di ogni controversia e di ogni scuola del suo tempo e rifacendosi al principio condanna ogni forma di divorzio: Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola”.

Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi.

Gli obiettarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di mandarla via?”.
Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19,4-9).
Le affermazioni di questo brano sono tre.

1) Il matrimonio rientra nel disegno primordiale di Dio, il quale non prevede alcuna eccezione all’indissolubilità, proprio perché questa è iscritta nella natura dell’uomo e della donna in quanto esseri complementari. Citando i due passi di Gen 1,27 e 2,24, Gesù intende riportare tutto al quadro originale.
2) La disposizione mosaica circa il divorzio (Dt 24,1) aveva valore transitorio e dimostrava non tanto un’accondiscendenza di Dio, quanto la durezza di cuore degli ebrei, chiusi alle esigenze dell’autentica volontà di Dio.
3) Il divorzio, con passaggio ad altre nozze, è semplicemente adulterio e l’adulterio è espressamente proibito dal sesto comandamento (Es 20,14; Dt 5,18).

Il matrimonio nella dottrina di san Paolo


Pur esaltando la verginità per i valori di libertà interiore e di situazione escatologica, Paolo riafferma la dignità del matrimonio e ne ricorda diritti e doveri, fra cui quelli della fedeltà e dell’indissolubilità.

a) La dignità del matrimonio

Leggiamo nella prima lettera ai Corinti: Quanto alle cose di cui mi avete scritto, è cosa buona per l’uomo non toccare donna; tuttavia, per il pericolo dell’incontinenza, ciascuno abbia la propria moglie e ogni donna il proprio marito. Il marito compia il suo dovere verso la moglie; ugualmente anche la moglie verso il marito. La moglie non è arbitra del proprio corpo, ma lo è il marito; allo stesso modo anche il marito non è arbitro del proprio corpo, ma lo è la moglie… Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito – e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito – e il marito non ripudi la moglie (1 Cor 7,1-10).
Rileviamo due cose in questo testo.
1) Marito e moglie hanno gli stessi diritti e doveri e sono parte l’uno dell’altra; non sono più due, ma un solo essere.
2) L’apostolo si rifà al comando stesso di Gesù: Ordino, non io, ma il Signore (v. 10) per ribadire la condanna del divorzio: l’unica soluzione, in caso di emergenza, è la separazione, che dovrebbe essere solo temporanea. Il traguardo finale rimane la riconciliazione con il coniuge.

b) Matrimonio come segno sacramentale dell’unione di Cristo con la Chiesa

Parlando dei doveri della famiglia cristiana, nella lettera agli Efesini, Paolo incomincia proprio dei reciproci doveri dei coniugi: Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore… E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola… Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai, infatti, ha preso in odio la propria carne; al contrario, la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa… (Ef 5,21-33; cfr Col 3,18-19; 1 Pt 3,1-8).

Sottolineiamo soltanto alcuni concetti.

Prima di tutto, il discorso sul matrimonio si svolge tutto sotto il segno dell’amore: per cui l’essere sottomessi l’uno all’altro non è segno di dipendenza schiavistica, ma di dipendenza nell’amore.
In secondo luogo, il rapporto marito-moglie viene modellato sul rapporto Cristo-Chiesa, che è essenzialmente un rapporto d’amore: Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per lei (v. 25). Solo il rapporto Cristo-Chiesa diventa un modello di amore reciproco tra gli sposi.
Cristo afferra l’amore umano dei battezzati, lo fermenta dal di dentro, lo purifica da tutte le inevitabili scorie per farne un riflesso, un’immagine del suo amore per la Chiesa.
In terzo luogo, il matrimonio cristiano si immerge nel mistero di Dio (v. 32) che, secondo il linguaggio di Paolo, è il suo progetto salvifico culminante nell’incarnazione, di cui la Chiesa, in quanto sposa di Cristo, è la dilatazione, la pienezza.
Il matrimonio, perciò, non è un affare privato, ma rientra nella dimensione della ecclesialità e deve servire alla crescita della Chiesa, della quale è un inizio nella misura in cui sa creare rapporti di amore e di fede fra tutti i suoi membri.
Il matrimonio cristiano è fonte di grazia per vivere nell’amore ed educare all’amore.

c) Pastorale familiare in san Paolo

È proprio in questa direzione dell’amore cristiano che si muove san Paolo rivolgendosi a tutti gli altri membri della famiglia, inclusi gli schiavi: Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto… E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore. Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo… Anche voi, padroni, comportatevi allo stesso modo verso di loro, mettendo da parte le minacce, sapendo che per loro come per voi c’è un solo Signore nel cielo, e che non c’è preferenza di persone presso di lui (Ef 6,1-9).
Come si vede, nessuno è dimenticato: la famiglia non si esaurisce nella coppia, ma si apre necessariamente ai figli, come frutto dell’amore reciproco, ai quali bisogna dare una giusta educazione corrispondente alle esigenze della fede cristiana: Allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore (v. 4).

Con l’educazione cristiana i genitori generano una seconda volta i loro figli.

Anche il rapporto, non sempre facile, tra padroni e schiavi viene inserito nel quadro della famiglia, la cui legge fondamentale è l’amore: pur rimanendo schiavi, si esalta la loro dignità di figli di Dio, che dev’essere riconosciuta dai padroni, i quali hanno anch’essi un solo Signore nel cielo, che non fa preferenze per nessuno.
A questo punto è evidente che il problema della schiavitù è aperto alla sua soluzione radicale.
Nella lettera a Tito ci viene offerta una catechesi familiare diretta alle varie categorie di persone che compongono la famiglia: I vecchi siano sobri, dignitosi, assennati, saldi nella fede, nell’amore e nella pazienza. Ugualmente le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti; non siano maldicenti né schiave di molto vino; sappiano piuttosto insegnare il bene, per formare le giovani all’amore del marito e dei figli, ad essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non debba diventare oggetto di biasimo.
Esorta ancora i più giovani ad essere assennati, offrendo te stesso come esempio in tutto di buona condotta, con purezza di dottrina, dignità, linguaggio sano e irreprensibile… Esorta gli schiavi ad essere sottomessi in tutto ai loro padroni; li accontentino e non li contraddicano, non rubino, ma dimostrino fedeltà assoluta, per far onore in tutto alla dottrina di Dio, nostro salvatore (Tt 2,1-9). Il motivo di questa condotta integra dei vari membri della famiglia cristiana è essenzialmente religioso: Fare onore alla dottrina di Dio (v. 10), perché non sia biasimata la parola di Dio (v.5). Questo presuppone ovviamente che la grazia matrimoniale pervada tutta la famiglia, riversandosi dai coniugi su tutte le altre persone che la compongono.