maggio, meditazioni

23 Maggio 2019

23 Maggio 2019 – Giovedì, V settimana di Pasqua – (At 15,7-21; Sal 95[96]; Gv 15,9-11) – I Lettura: Il primo concilio della Chiesa deve decidere se imporre o meno, ai fedeli provenienti dal paganesimo, l’osservanza della legge mosaica e la circoncisione. È messo, qui, in evidenza il ruolo di guida del collegio apostolico e il metodo di discernimento adottato che si basa non su opinioni personali, ma sull’accoglienza nella fede dei segni dati da Dio. Infatti la discussione, iniziata animatamente per le opposte opinioni, arriva ad una conclusione quando “l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare”. Questi due atteggiamenti, il fare silenzio e l’ascolto, permettono di accogliere la parola dei fratelli e di lasciare spazio allo Spirito che parla anche attraverso di loro. Vangelo: La vocazione cristiana è tutta racchiusa in queste parole di Gesù: il cristiano è colui che rimane unito a Cristo e, quindi, in comunione con la Santissima Trinità, mediante l’amore. Quell’amore, però, che proviene dal Padre che ha amato il Figlio e con il quale il Figlio a sua volta ha amato i suoi discepoli. Questa è, dunque, la caratteristica del vero discepolo: rimanere sempre in ascolto e in obbedienza dei comandamenti di Gesù. L’attitudine all’ascolto è il filo che ci lega a Cristo e ci fa rimanere nel suo amore.

Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Riflessione: «Rimanete nel mio amore». Quale dolce invito ci giunge oggi dal Vangelo! Quale miglior comando possiamo sperare e desiderare? Quale luogo può darci più pace e ristoro? E cosa mai potrebbe distaccarci da esso? Quale richiamo potrebbe trattenercene lontano? Come canta il salmista: «Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi. Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore. Sì, è meglio un giorno nei tuoi atri che mille nella mia casa; stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende dei malvagi» (Sal 84 [83],2-8.11). Il rimanere indica intimità, amicizia. Rimanere non per realizzare qualcosa in lui, ma perché lui possa realizzare qualcosa in noi, perché possa insegnarci ad amare come lui, perché possa farci diventare amore come egli è amore. L’avventura dei primi discepoli inizia con il rimanere con Gesù (cfr. Gv 1,39). Ora il Maestro ci invita a rimanere non solo alla sua presenza ma nel suo amore, immersi in esso, fino a riempircene, fino a non avere altro spazio in noi che l’amore.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Rimanete nel mio amore – Giovanni Paolo II (Omelia, 9 Settembre 1990): All’avvicinarsi del suo sacrificio sulla Croce, Cristo ha rivolto agli Apostoli queste magnifiche parole, che ora dobbiamo meditare: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12). Sono parole ricche di significato. Esse sono state dette agli Apostoli, ma la liturgia di questo giorno le applica agli sposi e alle famiglie. San Giovanni – che ci ha rivelato il nome segreto di Dio: “Dio è Amore” – ci pone, con alcune frasi, al centro del cristianesimo e ci offre la chiave dell’esistenza cristiana: “Amatevi gli uni gli altri”. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Rimanere nell’amore di qualcuno è il sogno di ogni essere umano. In un mondo di sconvolgimenti e d’insicurezza, molti si sentono sradicati e cercano di radicarsi nell’amore di un essere amato. Ma Gesù c’insegna che l’amore infinito di Dio, solido come la roccia, è la sorgente di ogni amore. Cristo lo rende vicino a noi. Ancor più, egli che è totalmente abitato dall’amore del Padre, c’invita a lasciarci cogliere dal suo amore, a condividerlo e a viverlo tra noi: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). Gesù, che rimane nell’amore del Padre, è anche il suo Inviato. E perché noi rimaniamo nell’amore di Cristo, a nostra volta siamo i suoi inviati. Inviati per che cosa? Per essere segni dell’amore di Dio, per amare a nostra volta, alla maniera di Cristo. “Non c’è amore più grande di quello di dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). Offrendo la vita per i suoi amici, Gesù manifesta l’amore assoluto che è Dio. La logica dell’amore cristiano è di dare più valore alla vita dell’altro che alla propria vita.

I comandamenti – CCC 2053-2055: La Legge non è abolita, ma l’uomo è invitato a ritrovarla nella persona del suo Maestro, che ne è il compimento perfetto. Nei tre Vangeli sinottici, l’appello di Gesù, rivolto al giovane ricco, a seguirlo nell’obbedienza del discepolo e nell’osservanza dei comandamenti, è accostato all’esortazione alla povertà e alla castità. I consigli evangelici sono indissociabili dai comandamenti. Gesù ha ripreso i dieci comandamenti, ma ha manifestato la forza dello Spirito all’opera nella loro lettera. Egli ha predicato la giustizia che supera quella degli scribi e dei farisei come pure quella dei pagani. Ha messo in luce tutte le esigenze dei comandamenti. «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere […]. Ma io vi dico: chiunque si adira contro il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,21-22). Quando gli si pone la domanda: «Qual è il più grande comandamento della Legge?» (Mt 22,36), Gesù risponde: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,37-40). Il Decalogo deve essere interpretato alla luce di questo duplice ed unico comandamento della carità, pienezza della Legge: «Il precetto: Non commettere adulterio, Non uccidere, Non rubare, Non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore» (Rm 13,9-10).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Di nuovo vi vedrò e gioirete, e la vostra gioia nessuno ve la toglierà [Gv 16,22]. Sono parole brevi, ma ricche d’immensa consolazione. Ma che significa: “La vostra gioia nessuno ve la toglierà”? Se possiedi delle ricchezze, molti possono toglierti la gioia che ne deriva: il ladro che fora la parete, lo schiavo che si impossessa di ciò che gli hai affidato, il re che te le confisca, l’invidioso che tenta di danneggiarti. Se hai autorità, molti possono toglierti la gioia che ne deriva; finito il potere, è finito il piacere; anzi, durante l’esercizio stesso del potere succedono molti fatti che creano difficoltà e preoccupazioni che limitano la tua gioia. Se hai la salute del corpo, una malattia che sopraggiunge ti toglie la gioia che ne deriva; se hai bellezza e avvenenza, viene la vecchiaia che ti appassisce e te ne toglie la gioia; se godi di una tavola riccamente imbandita, viene la sera e fa cessare la gioia del convito. Ogni bene di questa vita è estremamente vulnerabile, e non può procurarci una gioia duratura. Ma la pietà, le virtù interiori, operano precisamente il contrario. Se fai dell’elemosina, nessuno può togliertene il merito: anche se un esercito, se un re, se mille delatori o insidiatori ti circondassero ovunque, non possono privarti della ricchezza che tu hai riposto nei cieli, e la gioia che ne deriva dura in eterno. […] Se innalzi una preghiera incessante e intensa, nessuno può strappartene il frutto: anche in questo caso esso ha le sue radici nel cielo, è sicuro contro ogni danno e resta inespugnabile. Se subisci il male e ricambi con il bene, se sei biasimato e lo sopporti con pazienza, se sei maledetto e benedici, sono meriti che restano per sempre, e la gioia che ne deriva nessuno te la toglierà; anzi, ogni volta che te ne ricorderai, te ne rallegrerai e ne raccoglierai una grande letizia» (Giovanni Crisostomo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Dov’è e che cosa è la gioia cristiana – Lino Pedron: La gioia dell’amore di Dio – “La gioia è causata dall’amore” [s. Tommaso d’Aquino]. Gioia e amore camminano insieme. Chi non ama non può essere gioioso. La gioia è assente dove sono presenti l’egoismo e l’odio. La disperazione nasce dall’assenza dell’amore. La gioia cristiana è una ridondanza dell’amore di Dio: non è una virtù distinta dall’amore, ma è un effetto dell’amore. Questa precisazione non è inutile, ma indispensabile e fondamentale perché ci svela il motivo del fatto che molti cercano la gioia e non la trovano. Essi la cercano invano perché pensano che essa sia reperibile per se stessa. La gioia non ha consistenza in se stessa: ha la sua sorgente nell’amore, è un raggio dell’amore. E la sorgente dell’amore è Dio: “Dio è amore” [1Gv 4,8]. La gioia spirituale – “La gioia piena non è carnale, ma spirituale” [s. Agostino]. Tutto ciò è verissimo perché la gioia cristiana è una gioia di Dio, una gioia che è frutto dello Spirito di Dio che abita in noi [Gal 5,22]. Tuttavia la gioia cristiana afferra, promuove, illumina e intensifica le diverse gioie dell’uomo. Così si hanno le gioie della verità, del cuore, della bellezza, dei ricordi, delle attese, ecc. La gioia spirituale ha un riverbero esteriore che illumina tutto l’essere umano, lo rende amabile e affascinante. Fa del cristiano un bagliore visibile della Bellezza invisibile, una manifestazione concreta dell’uomo risolto in positiva armonia, e una attrazione sicura per tutti coloro che ancora camminano nel buio della tristezza e dell’inquietudine.

Santo del giorno: 23 Maggio – San Giovanni Battista de’ Rossi Sacerdote: “Nacque nel 1698 a Voltaggio, in provincia di Genova ma a 13 anni, per motivi di studio, si trasferì a Roma nella casa di uno zio sacerdote, canonico a Santa Maria in Cosmedin. A Roma frequentò il liceo presso i gesuiti del Collegio Romano avviandosi agli ordini sacri. In quel periodo fu colto dai primi attacchi di epilessia, malattia che lo avrebbe fatto soffrire per tutta la vita. Venne ordinato sacerdote l’8 marzo 1721 e da allora diede ancora più slancio al suo apostolato, avviato in precedenza, tra gli studenti, i poveri e gli emarginati. Sulla scia di quell’impegno nacque la Pia Unione dei sacerdoti secolari di Santa Galla dal nome di un ospizio maschile da lui diretto. Giovanni ne volle uno anche per donne e lo dedicò a Luigi Gonzaga santo cui era devotissimo. Eletto canonico di Santa Maria in Cosmedin, venne dispensato dall’obbligo del coro per potersi dedicare con maggiore libertà ai suoi impegni apostolici. Negli ultimi mesi di vita l’epilessia si aggravò costringendolo a un vero e proprio calvario. Morì il 23 maggio 1764. Fu canonizzato da Leone XIII l’8 dicembre 1881” (Avvenire).

Preghiamo: O Dio, che per la tua grazia da peccatori ci fai giusti e da infelici ci rendi beati, custodisci in noi il tuo dono, perché, giustificati mediante la fede, perseveriamo nel tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù…

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