meditazioni, Novembre

2 Novembre 2018 – Venerdì – Commemorazione di tutti i fedeli defunti

2 Novembre 2018 – Venerdì – Commemorazione di tutti i fedeli defunti – (Gb 19,1.23-27a; Sal 26[27]; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40) – I Lettura: Nella solitudine totale, Giobbe, sente che ormai i suoi giorni vengono meno, ma ha una speranza nel cuore: la morte non è l’ultima realtà dell’uomo; l’ultima realtà, per chi crede in Dio, è la vita eterna. Giobbe testimonia la sua fede nella vita gloriosa dopo la morte e si affida a Dio. Lui è il Redentore, riscatta perché è vivo ed ha l’ultima parola sull’orrore della morte. La certezza di fede di Giobbe è diventata reale e storica in Gesù, che “ha fatto la pace” ed ha vinto la morte “grazie al sangue della sua croce”. II Lettura: La salvezza viene presentata in questo testo come una grande opera di riconciliazione. Si tratta di un movimento che parte direttamente da Dio quando l’uomo è ancora lontano e incapace di riconciliarsi con Lui. Dio si china con misericordia sull’umanità e, per mezzo del suo Figlio, la chiama a sé. In questa opera di salvezza si mostra tutta la sua condiscendenza e il suo amore gratuito. Il ruolo storico di Gesù è quello del mediatore tra Dio e l’uomo. La sua opera raggiunge il suo culmine nella morte in croce, il momento per eccellenza che lo vede vicino all’umanità. Vangelo: Fino a quando il Signore Gesù non verrà nella gloria, e distrutta la morte gli saranno sottomesse tutte le cose, alcuni suoi discepoli saranno pellegrini sulla terra, altri che sono passati da questa vita alla vita eterna staranno purificandosi, altri infine staranno godendo della gloria contemplando Dio. Tutti però comunicano nella stessa carità di Dio nell’attesa del dono della risurrezione promessa da Gesù. L’espressione “nell’ultimo giorno” ha un significato preciso: è il giorno in cui si celebrerà il trionfo finale del Figlio sulla morte e tutti potranno ricevere lo Spirito che verrà donato all’umanità.

Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Riflessione: “Ringraziamo la nostra fede, che non solo toglie l’angosciosa paura che circonda il mistero della morte, ma ci educa altresì a guardarla con sereno realismo ed a trarne indispensabili insegnamenti per ben valutare ogni cosa del nostro transito nel tempo e per avere dei nostri Morti qualche consolante notizia. La religione fa della morte una lampada: essa rischiara quanto basta i problemi circa la sopravvivenza dell’uomo oltre la sua fine temporale, così che questa vita temporale non sia accecata dal dubbio e sconvolta dalla disperazione, ma acquisti invece il suo senso escatologico e il suo pieno significato morale; essa ci fa pazienti e sapienti a superare ogni smarrimento nel dolore, e ogni arbitraria e miope filosofia; essa ci stimola a bene vivere e ci conforta alla ricerca e all’attesa d’una futura comunione con Cristo e con le persone che ci furono care; offre insomma una visione generale della nostra esistenza, che rinfranca lo spirito in un incomparabile equilibrio di sentimenti e di pensieri, e gli infonde un senso profondo di gratitudine e di ammirazione verso il Dio vivo, Creatore dell’universo e Padre nostro onnipotente” (Paolo VI, Udienza Generale, 2 Novembre 1966).

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La memoria dei defunti – Benedetto XVI (Angelus, 2 Novembre 2008): Ieri la festa di Tutti i Santi ci ha fatto contemplare “la città del cielo, la Gerusalemme celeste che è nostra madre” (Prefazio di Tutti i Santi). Oggi, con l’animo ancora rivolto a queste realtà ultime, commemoriamo tutti i fedeli defunti, che “ci hanno preceduto con il segno della fede e dormono il sonno della pace” (Preghiera eucaristica I). È molto importante che noi cristiani viviamo il rapporto con i defunti nella verità della fede, e guardiamo alla morte e all’aldilà nella luce della Rivelazione. Già l’apostolo Paolo, scrivendo alle prime comunità, esortava i fedeli a “non essere tristi come gli altri che non hanno speranza”. “Se infatti – scriveva – crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti” (1Ts 4,13-14). È necessario anche oggi evangelizzare la realtà della morte e della vita eterna, realtà particolarmente soggette a credenze superstiziose e a sincretismi, perché la verità cristiana non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere.

La morte del cristiano – Catechismo degli Adulti 1189: Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.

Questa infatti è la volontà del Padre mio – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 28 Ottobre 1998): Gesù lega la fede nella risurrezione alla sua stessa Persona: “Io sono la Risurrezione e la Vita” (Gv 11,25). In Lui, infatti, grazie al mistero della sua morte e risurrezione, si adempie la divina promessa del dono della “vita eterna”, che implica una piena vittoria sulla morte: “Viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce [del Figlio] e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita…” (Gv 5,28-29). “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6,40). Questa promessa di Cristo si realizzerà dunque misteriosamente alla fine dei tempi, quando egli tornerà glorioso “a giudicare i vivi e i morti” (2Tm 4,1; cfr. At 10,42; 1Pt 4,5). Allora i nostri corpi mortali rivivranno per la potenza dello Spirito, che ci è stato dato come “caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione” (Ef 1,14; cfr. 2Cor 1,21-22).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Nessuno, dunque, pianga più i morti, nessuno si disperi, né rigetti così la vittoria di Cristo. Egli infatti ha vinto la morte. Perché dunque piangi senza motivo? La morte è diventata un sonno. A che pro gemi e ti lamenti? Se i gentili che si disperano sono degni d’esser derisi, quale scusa un cristiano potrà avere comportandosi in modo così disonorevole in tali circostanze? Come potrà farsi perdonare tale stoltezza e insipienza, dopo che la risurrezione è stata provata molte volte e in modo evidente durante tanti secoli? Ma voi, come se foste impegnati ad accrescere la vostra colpa, portate qui tra noi donne pagane, pagate per piangere ai funerali e attizzare in tal modo la fiamma del vostro dolore e non ascoltate Paolo che dice: Quale accordo può esserci tra Cristo e Belial? O quale cosa di comune tra il fedele e l’infedele? [2Cor 6,15]. Gli stessi pagani, che pure non credono nella risurrezione, finiscono col trovare argomenti di consolazione e dicono: Sopporta con corag-gio; non è possibile eliminare quanto è accaduto e con le lacrime non ottieni nulla. E tu che ascolti parole tanto più sublimi e consolanti di queste, non ti vergogni di comportarti in modo più sconveniente dei pagani? Noi non ti esortiamo a sopportare con fermezza la morte, dato che essa è inevitabile e irrimediabile; al contrario ti diciamo: Coraggio, c’è la risurrezione con assoluta certezza: dorme la fanciulla e non è morta; riposa, non è perduta per sempre. Sono infatti ad accoglierla la risurrezione, la vita eterna, l’immortalità e l’eredità stessa degli angeli. Non senti il salmo che dice: Torna, anima mia, nel tuo riposo, perché Dio ti ha fatto grazia [Sal 114,7]? Dio chiama «grazia» la morte, e tu ti lamenti? Che potresti fare di più, se il morto fosse tuo nemico e rivale? Ora, se qualcuno deve piangere, è il diavolo. Pianga dunque e si affligga, poiché noi ci avviamo a beni maggiori. Questo dolore è degno veramente della sua malvagità, ma è indegno di te che stai per essere coronato e andrai a godere un riposo eterno. Porto tranquillo è infatti la morte» (Giovanni Crisostomo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: “La pietas verso i morti risale agli albori dell’umanità. In epoca cristiana, fin dall’epoca delle catacombe l’arte funeraria nutriva la speranza dei fedeli. A Roma, con toccante semplicità, i cristiani erano soliti rappresentare sulla parete del loculo in cui era deposto un loro congiunto la figura di Lazzaro. Quasi a significare: Come Gesù ha pianto per l’amico Lazzaro e lo ha fatto ritornare in vita, così farà anche per questo suo discepolo! La commemorazione liturgica di tutti i fedeli defunti, invece, prende forma nel IX secolo in ambiente monastico. La speranza cristiana trova fondamento nella Bibbia, nella invincibile bontà e misericordia di Dio. «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!», esclama Giobbe nel mezzo della sua tormentata vicenda. Non è dunque la dissoluzione nella polvere il destino finale dell’uomo, bensì, attraversata la tenebra della morte, la visione di Dio. Il tema è ripreso con potenza espressiva dall’apostolo Paolo che colloca la morte-resurrezione di Gesù in una successione non disgiungibile. I discepoli sono chiamati alla medesima esperienza, anzi tutta la loro esistenza reca le stigmate del mistero pasquale, è guidata dallo Spirito del Risorto. Per questo i fedeli pregano per i loro cari defunti e confidano nella loro intercessione. Nutrono infine la speranza di raggiungerli in cielo per unirsi gli eletti nella lode della gloria di Dio” (www. santiebeati.it).

Santo del giorno: 2 Novembre – San Vittorino, Vescovo e Martire: “San Vittorino, celebre esegeta, fu vescovo nell’Alta Pannonia, precisamente presso Poetavium, poi Pettau, odierna Ptuj in Slovenia. Poche sono le notizie tramandate sul suo conto. I pochi frammenti si devono a casuali riferimenti nelle opere di san Girolamo, Optato di Milevis e Cassiodoro. Da questi emerge che Vittorino, dopo essere stato rettore, divenne vescovo di Pettau e scrisse commentari relativi all’Antico e Nuovo Testamento. Girolamo giudicò l’operato del santo vescovo assai qualificante, sebbene gravi l’ipotesi della sua adesione all’eresia del milleranismo che a qual tempo dilagava in quelle zone. Essa sosteneva che Cristo sarebbe ritornato sulla terra per regnarvi mille anni. Vittorino pare essere morto martire della fede durante la violenta persecuzione scoppiata al termine del regno dell’imperatore Diocleziano, verso l’anno 303. Il suo culto sopravvisse ai travagli che nel corso dei secoli colpirono la zona dove esercitò il suo ministero e, per un certo periodo, venne erroneamente indicato come primo vescovo di Poitiers” (Avvenire).

Preghiamo: Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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