maggio, meditazioni

6 Maggio 2019

6 Maggio 2019 – Lunedì, III settimana di Pasqua – (At 6,8-15; Sal 118[119]; Gv 6,22-29) – I Lettura: Il discorso di Stefano è una lettura teologico-sapienziale della storia di Israele in funzione epifanica: la storia infatti, quando è interpretata con la lampada della fede, diventa epifania di Dio e delle sue intenzioni salvifiche. È la fede che aiuta a riconoscere negli anfratti della storia una linea continua sulla quale si intessono gli interventi salvifici di Dio, permettendo di intravedere la Sapienza di Dio anche nelle gesta degli uomini ed è sempre la fede che educa all’ascolto della Parola di Dio che si nasconde sotto l’involucro delle parole umane. Vangelo: La folla si dirige verso Cafàrnao e si meraviglia di trovare già Gesù di là del mare. Coloro che sono stati testimoni della straordinaria e imprevista moltiplicazione dei pani e dei pesci, non si rendono conto chi sta loro di fronte. Cercano Gesù perché sono stati materialmente nutriti e Gesù, al contrario, li invita ad andare oltre il segno, a darsi da fare per procurarsi non un cibo che perisce, ma il nutrimento vivo di cui quello mangiato è stato solamente un’immagine e che il Figlio dell’uomo può dare loro.

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna Dal Vangelo secondo Giovanni: Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Riflessione: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati». Oggi il Vangelo ci fa meditare da una parte la grande generosità di Dio che è Provvidenza, dall’altra parte ci interroga sulla nostra sequela: perché siamo cristiani, perché preghiamo, perché andiamo a Messa o frequentiamo i Sacramenti. Cosa cerchiamo? Cosa desidera il nostro cuore? Forse siamo anche noi tra coloro che vogliono toccare anche solo il mantello di Gesù per ottenere guarigione; forse siamo tra coloro che sono andati a lui col sano desiderio di ascoltare la sua Parola, ma che una volta saziati e sperimentata la sua potenza, hanno deciso di volerlo come proprio re in modo da non aver più bisogno di nulla (meglio di una polizza assicurativa!). Perché dunque lo cerchiamo? Perché abbiamo visto segni e ci siamo saziati? Tanti partono per luoghi dove si dice ci siano segni o apparizioni o miracoli… tornano sazi e con gli occhi pieni di segni… incoraggiano altri ad andare e organizzano pellegrinaggi a loro volta… Ma quanti si danno da fare per compiere le opere di Dio? Certo, assistere al miracolo del sole è più eccitante che lavare un povero; essere presente ad una (presunta) apparizione appaga più che stare ai piedi di un moribondo; farsi la foto col veggente di turno mi fa sentire più importante che rimanere dinanzi ad un Tabernacolo solitario…

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Datevi da fare non per il cibo che non dura… – Apostolicam Actuositatem 4: Solo alla luce della fede e nella meditazione della parola di Dio è possibile, sempre e dovunque, riconoscere Dio nel quale «viviamo, ci muoviamo e siamo» (At 17,28), cercare in ogni avvenimento la sua volontà, vedere il Cristo in ogni uomo, vicino o estraneo, giudicare rettamente del vero senso e valore che le cose temporali hanno in se stesse e in ordine al fine dell’uomo. Quanti hanno tale fede vivono nella speranza della rivelazione dei figli di Dio, nel ricordo della croce e della risurrezione del Signore. Nel pellegrinaggio della vita presente, nascosti con Cristo in Dio e liberi dalla schiavitù delle ricchezze, mentre mirano ai beni eterni, con animo generoso si dedicano totalmente ad estendere il regno di Dio e ad animare e perfezionare con lo spirito cristiano l’ordine delle realtà temporali. Nelle avversità della vita trovano la forza nella speranza, pensando che «le sofferenze del tempo presente non reggono il confronto con la gloria futura che si rivelerà in noi» (Rm 8,18).

Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato – Dignitatis Humanae 10: Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l’atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell’ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita.

Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio? – Benedetto XVI (Angelus, 5 Agosto 2012): «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» chiede la folla, pronta ad agire, perché il miracolo del pane continui. Ma Gesù, vero pane di vita che sazia la nostra fame di senso, di verità, non si può «guadagnare» con il lavoro umano; viene a noi soltanto come dono dell’amore di Dio, come opera di Dio da chiedere e accogliere. Cari amici, nelle giornate cariche di occupazioni e di problemi, ma anche in quelle di riposo e di distensione, il Signore ci invita a non dimenticare che se è necessario preoccuparci per il pane materiale e ritemprare le forze, ancora più fondamentale è far crescere il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Colui che è il «pane di vita», che riempie il nostro desiderio di verità e di amore.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Non siamo nati per vivere in eterno quaggiù – “Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui? Abramo, Mosè, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo – il vaso d’elezione – e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo? E pensare che probabilmente, proprio affinché il male non riuscisse a forviare la sua ragione, è stato portato via! La sua anima, infatti, era gradita a Dio; per questo s’è affrettato a toglierla di mezzo all’iniquità [Sap 4,11.14] in modo che durante il lungo viaggio della vita non si smarrisse in sentieri traversi. Piangiamoli, sì, i morti; ma solo quelli che piombano nella geenna, quelli divorati dall’inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno! Ma se noi, quando lasciamo questa vita, siamo accompagnati da una schiera di angeli, se Cristo ci viene incontro, rattristiamoci piuttosto se ha da prolungarsi la nostra permanenza in questa residenza sepolcrale” (Girolamo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Questa gente che cerca Gesù sembra piena di fede, ma in realtà essa non crede nel Cristo. La loro non è fede, ma solo curiosità e simpatia superficiale, come risulterà nel seguito del racconto. Gesù denuncia il vero motivo del loro interesse per la sua persona e li invita a una ricerca meno egoistica e più spirituale. Egli li rimprovera per la loro superficialità: nella moltiplicazione dei pani non avevano riconosciuto Gesù come Dio. Il Cristo biasima la loro ricerca affannosa per il cibo che perisce, ossia per il pane che sfama il corpo, e li esorta a cercare il cibo che dura per la vita eterna. Questo cibo dev’essere qualcosa che assomiglia all’acqua viva che zampilla per la vita eterna [Gv 4,14]. Si tratta quindi della rivelazione del Verbo incarnato, assimilata con una vita di fede profondissima che conduce alla vita eterna. In questa prima fase del discorso, il cibo che Gesù darà rimane misterioso. In 6,51 l’evangelista specificherà che si tratta della persona del Figlio di Dio, sacrificata per l’umanità con la passione e la morte, e donata in cibo. L’azione del Padre che pone il suo sigillo indelebile sul Figlio è la consacrazione solenne dell’uomo Cristo Gesù fin dal primo istante della sua incarnazione e nel suo battesimo al Giordano. “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?” [v. 28]. In questa domanda appare chiaramente la mentalità giudaica legata al valore delle opere. Gesù si oppone a questa mentalità e presenta necessaria per il possesso del regno di Dio una sola opera: la fede nella sua persona. In questo brano sembra riecheggiare la polemica di Paolo contro le opere della legge a favore della fede: con le opere della legge nessun uomo può essere giustificato davanti a Dio [Rm 3,20]; infatti si è giustificati non dalle opere, ma dalla fede, indipendentemente dalle opere [Rm 3,27-28; Gal 2,16; 3,5]. L’oggetto di questa fede è colui che Dio ha inviato, Gesù. L’unica opera che l’uomo deve compiere è credere nell’inviato di Dio. La fede di cui parla il vangelo è dono di Dio. L’uomo ha però la sua responsabilità perché può anche rifiutare questo dono. Quindi la fede è anche opera dell’uomo» (Padre Lino Pedron).

Santo del giorno: 6 Maggio – San Pietro Nolasco, Fondatore dei Mercedari: Era di nobile famiglia e, a Barcellona, commosso dalla condizione degli schiavi dei Mori, ne riscattò centinaia con il proprio denaro, coinvolgendo in quest’opera molte altre persone. Aiutato anche da re Giacomo I e dal vescovo di Barcellona, fondò poi l’Ordine di santa Maria della Misericordia o della Mercede che aveva come scopo la liberazione e la redenzione degli schiavi. Adottò la regola agostiniana con un quarto voto, quello di offrirsi prigionieri al posto di un cristiano in pericolo d’apostasia. Così, ad Algeri, dove venivano tradotti coloro che erano catturati dai Saraceni durante le scorrerie, fu Pietro stesso ad offrirsi come ostaggio, soffrendo torture e prigionia.

Preghiamo: O Dio, che manifesti agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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