Liturgia, Novembre

25 Novembre 2018 – XXXIV del Tempo Ordinario (B)

Dal libro del profeta Daniele (7,13-14) – Il suo potere è un potere eterno: Incerta è l’interpretazione della figura del Figlio dell’uomo: alcuni le attribuiscono un valore individuale e perciò rappresenterebbe il Messia, altri un valore collettivo e quindi rappresenterebbe il popolo dei santi dell’Al-tissimo. Se una tradizione molto solida vi vede rappresentato il Messia, poi riferita a Gesù, il contesto farebbe credere che il termine voglia rappresentare un popolo, il popolo appunto dei santi dell’Altissimo.

Dal Salmo 92 (93) – Il Signore regna, si riveste di splendore: «Il tuo trono era preparato prima dei secoli, perché tu esisti prima dei secoli, primizia delle vie del Signore (Pr 8,22ss). E quando ti sei annientato per assumere la forma di schiavo, il tuo trono era custodito pronto, perché a te solo il Padre ha detto: Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi (Sal 109,1). E fin dai tempi antichi i fiumi hanno alzato le loro voci per mezzo dei profeti; poi per mezzo degli apostoli, degli evangelisti e di tutti gli innumerevoli popoli che hanno annunciato e annunciano il tuo regno di salvezza, proclamando a gran voce che la grazia di Dio si effonde su tutti. Ma questi fiumi sono pure gli angeli che hanno alzato altissime le loro voci quando hanno visto il Salvatore risalire al cielo nella sua gloria: … alzate le vostre porte… ed entrerà il re della gloria (Sal 23,7), e la moltitudine delle Chiese sulla terra che, confluendo come fiumi, innalzano la loro voce verso Dio» (Eusebio).

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (1,5-8) – Il sovrano dei re della terra ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio: Il brano giovanneo, pur nella sua brevità, è densissimo per il suo contenuto atto ad esaltare il Cristo che, nella sua persona e nella sua opera, è il testimone «della promessa fatta un tempo a Davide [2Sam 7,1; Sal 89; Is 55,3-4; Zc 12,8] e realizzata in lui. Egli è la Parola efficace, il sì di Dio [Ap 1,2; 3,14; 19,11.13; 2Cor 1,20]. Erede di Davide [Ap 5,5; 22,16], è stato costituito, mediante la resurrezione, “primogenito” [Col 1,18; cfr. Rm 1,4]; distrutti i suoi nemici, riceverà il dominio universale [Dn 7,14; 1Cor 15,28; Ap 19,16]» (Bibbia di Gerusalemme). I discepoli di Gesù, immersi nelle acque salutari del Battesimo, formeranno un regno di sacerdoti (Es 19,6) e re. Con Cristo Re regneranno su tutti i popoli (Dn 7,22.27; Is 45,11-17; Zc 12,1-3; cfr. Ap 2,26-27; 5,10; 20,6; 22,5) e uniti al Cristo sacerdote, sacerdoti, offriranno a Dio l’intero universo in sacrificio di lode. Le dossologie, frequenti nel libro dell’Apocalisse, spesso associano Gesù, Agnello immacolato (Ap 5,6), a Dio Padre. Gesù è l’Alfa e l’Omega (prima e ultima lettera dell’alfabeto greco), cioè principio e fine di tutto: una qualità che nel-l’Antico Testamento è riferita a Dio (Is 41,4; Is 44,6; cfr. Ap 1,17; 2,8).

Dal Vangelo secondo Giovanni (18,33b-37) – Tu lo dici: io sono re: Il Vangelo è teso alla proclamazione della regalità di Gesù: il titolo di re ritorna ben dodici volte. L’affermazione «il mio regno non è di questo mondo» fa intendere chiaramente che il regno di Dio non poggia su quella potenza su cui si fondano tutti i regni degli uomini. Infatti, a differenza dei regni umani spesso lordi di sangue, il regno di Dio è regno di «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14,17).

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Approfondimento

Gesù e il regno – A. Di Marco (Regno in Schede Bibliche, EDB): È Gesù stesso il regno. Esso è presente nel suo agire e nella sua persona (Mt 12,28; Lc 17,20-21). Perciò non c’è differenza tra la scelta per il regno (Lc 18,29) e la scelta per Gesù (Mt 19,29; Mc 8,35). Matteo 16,28 può descrivere la potente epifania del regno come l’arrivo del Figlio dell’uomo nel suo regno, e Gesù può annunziare la felicità escatologica come un bene del suo regno (Lc 22,30).

Questa identità è per ora ancora nascosta, e costituisce perciò il mistero del regno che viene manifestato solo a chi crede (Mc 4,11). Ma è realmente operante in Gesù che compie i miracoli, scaccia i demòni e annienta il regno di Satana (Lc 11,20; cfr. 10,18; 4,17-19).

Gesù manifesta la coscienza della sua regalità parlando in modo altamente significativo del «mio» regno (Lc 22,28-30; cfr. Mc 10,29 con Mt 19,29 e Lc 18,29; Mt 16,28 con 20,21; Mc 12,34 con 10,21). Cristo divide la storia della salvezza in due epoche: la prima – la legge e i profeti – arriva sino alla venuta di Giovanni Battista; con Cristo inizia la seconda, nella quale il regno è «annunziato» e insieme patisce violenza (Lc 16,16; cfr. 7,28; Mt 11,12-13).

Con Gesù comincia l’eschaton, con lui «il tempo è compiuto e si è avvicinato il regno di Dio» (Mc 1,15); con lui è presente il momento decisivo della storia (Rm 13,11). Ormai «l’anno di grazia di Iahvé» è promulgato (Lc 4,19; Is 61,2). È Gesù l’oggetto dell’attesa dei profeti. Il suo intervento personale supera quello dei profeti (Lc 16,16); la sua predicazione è superiore a quella di Giona o alla sapienza di Salomone (Mt 12,41-42); egli è al di sopra anche di Mosè (Mt 5,21-48). La missione di Gesù costituisce la fase preliminare di questo nuovo periodo, che è l’avvento del regno; la missione di Gesù non consiste soltanto nell’annunziare l’avvento del regno, ma anche nell’iniziarlo. La sua presenza è una prima epifania del regno di Dio; egli infatti vuole salvare non dominare; per questo si rivolge soprattutto ai più sprovveduti su cui pesano le conseguenze del peccato; per essi proclama le beatitudini (Mt 5,3-12), che traducono concretamente il messaggio centrale di Gesù: il regno di Dio è vicino.

Il regno che Gesù inaugura ha dunque chiaramente due fasi, una presente nel nascondimento, e una futura nell’esaltazione e nella gloria; la sua venuta attuale, nell’umiltà, prelude alla sua venuta finale nella gloria, di cui una manifestazione con potenza è la Risurrezione (Mt 28; Lc 24; Rm 1,1-4).

Gesù ha chiari in mente i due aspetti del regno, e pone l’accento ora sull’uno ora sull’altro. Questo doppio carattere costituisce l’oggetto delle «parabole del regno»: esso viene all’uomo nella parola semplice di Gesù, incontra opposizioni, ma, ciò nonostante, può crescere (Mt 13,3-8.18-23 e par.).

Satana può impedire con i suoi intrighi la realizzazione del regno di Dio, ma l’intervento di Gesù giudice farà trionfare il suo regno (Mt 13,24-30.37-43.47-50).

L’inizio insignificante del regno non esclude uno sviluppo glorioso nella parusia (Mt 13,31-32). E tutto è opera di Dio (Dn 2,34.44-45), come lo sviluppo del seme nella spiga (Mc 4,26-29).

L’attività presente di Gesù corrisponde alla semina, o all’inserimento del lievito nella pasta; con Gesù, quindi, il processo di crescita è iniziato ed è in un senso vero la presente manifestazione del regno. Con Gesù è stata inaugurata l’era messianica, ma non è ancora completa.

In tal modo Gesù sembra anche chiarire l’escatologia messianica: l’escha-ton non è un cataclisma improvviso, ma una nuova èra, distinta dalla decisiva e ultima manifestazione della potenza divina. Dio ha cominciato a governare il mondo. Il regno escatologico di Dio è stato inaugurato: la sua realizzazione definitiva appare e si può dire vicina, secondo un modo di esprimersi comune ai profeti dell’Antico Testamento. Esso però conosce varie tappe, in continuità fra di loro, e tutte tendenti al compimento definitivo.

Commento al Vangelo

Che cosa hai fatto? – Pilato è il governatore romano che odiava i giudei a tal punto da provocarli deliberatamente per poi intervenire con mano pesante. Riguardo a questa avversione, una notizia trapela anche dal vangelo di Luca lì dove si parla del sangue dei Galilei che «Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici» (Lc 13,1).

Siamo all’inizio del processo romano contro Gesù e Ponzio Pilato cerca di conoscere la verità su quell’uomo che gli era stato tradotto dinanzi con l’accusa generica di essere un «malfattore» (Gv 18,30). Ma già chiare sono le intenzioni degli accusatori: hanno giudicato reo di morte l’impu-tato e vogliono la sua morte, pronti a tutto pur di spuntarla (Gv 8,31). Il Sinedrio è alla ricerca dell’avallo supremo del tribunale di Roma perché non ha il potere di eseguire le pene capitali (Gv 8,31). Inconsapevolmente i sinedriti rivolgendosi ai romani per avere la certezza che Gesù sia crocifisso, compiono la profezia secondo la quale egli sarebbe stato innalzato (Gv 3,14; 12,32-33; 18,32).

Pilato non teme Gesù, ma le idee nazionalistiche che avrebbero potuto portare ad una sommossa: Roma non poteva permettersi rivali, la pace poteva albergare soltanto sotto i labari imperiali. Perciò investiga sulla presunta regalità dell’imputato.

Sei tu il re dei Giudei?… Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto? Alla domanda di Pilato Gesù risponde con un’altra domanda per fare emergere innanzi tutto l’incongruenza della delazione; poi per sapere «se il giudice romano ponga in discussione la regalità del Cristo, di sua iniziativa o dietro suggerimento dei giudei [Gv 18,34], per sapere se la sua regalità è intesa in senso politico o in senso messianico» (S. Panimolle).

Sono io forse Giudeo? Una risposta che mette a nudo tutto il ribrezzo che Pilato provava per i Giudei. Il governatore vuol sapere perché il Sinedrio lo ha consegnato alla giustizia romana e soprattutto gli preme sapere se chi gli sta dinanzi può costituire veramente un serio pericolo per la sicurezza dell’Impero romano.

All’insistenza del procuratore, Gesù risponde che il suo regno «non è di questo mondo» e ne porta le prove: l’assenza di un esercito che armato avrebbe combattuto per liberare il suo re.

Cosa abbia capito Pilato non è difficile da comprendere. Per un romano non vi poteva essere che un solo potere, Roma; tutto il resto era poco meno che paglia. Ecco perché, forse tra lo stupore e il faceto, il governatore romano ritorna a chiedere: «Dunque tu sei re?». Pilato disprezza Gesù come Giudeo anche se, come suggeriscono gli evangelisti, nel corso del processo rimarrà colpito dalla dignità e dalla franchezza delle sue risposte arrivando al punto di tentare di salvarlo (Mt 27,14; Mc 15,12-14; Lc 23,16; Gv 18,38-39; 19,12-15).

La domanda non ammette deroghe e il procuratore romano sembra seccato e vuole una risposta chiara che dipani ogni dubbio e Gesù lo accontenta ammettendo con estrema franchezza: «Tu lo dici: io sono re».

È chiaro, a questo punto, che il brano giovanneo vuole evidenziare la regalità del Cristo ed è teso quindi intenzionalmente a offrire alcuni spunti di riflessione ai credenti.

Innanzi tutto, Gesù è re ed è venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità. In questa affermazione si coglie tutta la decisione divina di attuare il progetto salvifico che doveva avere inizio con l’incarnazione di Dio: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio […]. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,1.14) e trovare la sua pienezza di fecondità nella orrenda morte di croce.

Gesù è venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità. Questo vuole dire che il Verbo di Dio si è fatto carne per manifestare autorevolmente e infallibilmente le realtà celesti che vede e ascolta (Gv 3,11.32). E chiunque è dalla verità, ascolta la sua voce, cioè accetta la sua testimonianza come vera, accoglie docilmente la sua Parola e decide liberamente di fare parte del suo regno: quindi, essere dalla verità «significa avere l’origine della vita religiosa dalla Parola, cioè essere animati profondamente dalla rivelazione del Cristo, per cui non si subisce alcun influsso malefico del Maligno. I Giudei che non fanno penetrare nel cuore la parola di Gesù, sono dal diavolo, non sono da Dio, in quanto non ascoltano il Verbo rivelatore [Gv 8,42-47]. Perciò il discepolo del Cristo, partecipe del suo regno, trova l’origine della sua esistenza nella rivelazione di Gesù, nella sua verità e quindi si mostra docile alla sua voce [Gv 18,37]» (S. Panimolle).

Riflessione

Io sono re – Il regno di Dio, inaugurato e proclamato da Cristo sulla terra, non ha nulla a che vedere con il trionfalismo e la pompa dei regni terreni.

Detto questo è facile intuire che il regno di Dio non vuole e non può entrare in collisione con i poteri temporali: «poiché il regno di Cristo non è di questo mondo [cfr. Gv18,36], la Chiesa o popolo di Dio, che introduce questo regno, non sottrae nulla al bene temporale dei popoli, ma al contrario favorisce e assume tutte le capacità, le risorse e le consuetudini di vita dei popoli, nella misura in cui sono buone; e assumendole le purifica, le consolida e le eleva» (LG 13).

La regalità di Gesù è legata alla croce, cioè al suo supremo sacrificio. Gesù Cristo regna dall’albero della croce sulla quale muore tra atroci pene per salvare tutti gli uomini. Fattosi «obbediente fino alla morte e perciò esaltato dal Padre [cfr. Fil 2,8-9], Cristo è entrato nella gloria del suo regno. A lui sono sottomesse tutte le cose, fino a quando egli stesso si sottometterà al Padre con tutte le creature, affinché Dio sia tutto in tutti [cfr. 1Cor 15,27-28]» (LG 36).

Come Cristo il battezzato è re: «la natura umana, creata per dominare il mondo in virtù della sua rassomiglianza con il re universale, è stata concepita come un’immagine vivente che partecipa del proprio archetipo nella dignità e nel nome. Non l’avvolge la porpora, né lo scettro né il diadema illustrano la sua dignità (…); al posto della porpora, invece, essa è rivestita della virtù, il più regale di tutti gli abiti; in luogo dello scettro, essa si sostiene sulla beata immortalità; al posto del diadema regale, essa reca la corona di giustizia» (Gregorio di Nissa). In tanta dignità il battezzato si impegna ad esercitare questa regalità liberandosi, sopra tutto, dalle piccole e grandi schiavitù del peccato, del male, delle mode del consumismo, del conformismo, dell’adesione a falsi e interessati maestri.

I credenti sono vocati a regnare con Cristo (cfr. Rm 5,17; 2Tm 2,12; Ap 5,10; 20,4; 22,5) perché «siano stabiliti nella libertà regale e vincano in sé il regno del peccato [cfr. Rm 6,12] con l’abnegazione di sé e la vita santa; e perché, servendo Cristo anche negli altri, conducano umilmente e pazientemente i loro fratelli a quel re, servire il quale è regnare. Il Signore infatti desidera estendere il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici: “regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”» (LG 36).

Il fine del popolo di Dio è la diffusione del regno di Cristo: la Chiesa è stata fondata precipuamente «con il fine di rendere partecipi, mediante la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, tutti gli uomini della redenzione salvifica e ordinare effettivamente per mezzo di essi il mondo intero a Cristo» (AA 2).

A questo mirabile apostolato la Chiesa, sospinta dallo Spirito Santo, impegna tutte le sue forze e tutte le sue energie: la Chiesa «fornita dei doni del suo fondatore e osservando fedelmente i suoi comandi della carità, dell’umiltà e dell’abnegazione, riceve la missione di annunciare il regno di Dio e di Cristo e di instaurarlo fra tutte le genti; di questo regno essa costituisce il germe e l’inizio. Intanto, mentre va lentamente crescendo, anela al regno perfetto e con tutte le sue forze spera e brama di riunirsi al suo re nella gloria» (LG 5).

Raccontano che il re di Francia Luigi XI non volle che il figlio, il futuro Carlo VIII, ricevesse alcun tipo di istruzione ma si adoperò personalmente affinché almeno del latino imparasse queste cinque parole: «Qui nescit dissimulare, nescit regnare» (Chi non sa dissimulare non sa regnare), massima che lo accompagnò per tutto il periodo del suo regno. Per il cristiano le cose invece si capovolgono, per regnare occorre essere nella verità. Per la Verità non vi sono scappatoie: «Chi non è con me, è contro di me» (Lc 11,23).

La pagina dei Padri

La regalità di Cristo – Tertulliano: Cristo, Figlio di Dio, è stato preannunciato come colui che avrebbe regnato in eterno su tutte le genti.

Salomone fu re, ma entro i confini della Giudea: i termini del suo regno erano tracciati da Bersabea a Dan. Dario regnò sui babilonesi e sui parti, ma non ebbe potere su tutte le genti. Sugli egiziani regnò il faraone o chiunque gli è successo nel regno: ma il suo dominio si estende solo a quel territorio. Nabucodonosor estese il suo potere, con i suoi satrapi, dall’India fino all’Etiopia; e così Alessandro il Macedone non ebbe affatto tutta l’Asia e tutte le altre regioni dopo la sua vittoria. I germani non riescono a uscire dai loro confini; i britanni sono chiusi nell’ambito del loro oceano. I romani si oppongono alle stirpi maure e alle barbare tribù dei getuli, perché non trascendano i confini delle loro regioni.

E che dirò dei romani, che difendono il loro impero con la barriera delle loro legioni, ma non possono diffonderlo tra le genti ricordate?

Ma il regno, ma il nome di Cristo si diffonde ovunque, ovunque in lui si ha fede, da tutte le genti ricordate viene venerato, ovunque regna, ovunque è adorato e ovunque gli viene tribuito eguale onore. Nessun onore regale è troppo grande davanti a lui; nessuna brama barbarica gli è troppo inferiore, nessun merito di dignità o di nobiltà di fronte a lui troppo si distingue: a tutti è uguale, su tutti è re, per tutti è giudice, di tutti è Signore e Dio. Non dubitare a credere ciò che insegniamo, perché lo vedi con i tuoi occhi.

 

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