aprile, meditazioni

18 Aprile 2018

18 Aprile 2018 – Mercoledì, III di Pasqua – (At 8,1b-; Sal 65[66]; Gv 6,35-40) – I Lettura: Dopo l’uccisione di Stefano, si scatenò una violenta persecuzione contro la chiesa di Gerusalemme. Un certo Sàulo era autorizzato ad entrare nelle singole case ad arrestare uomini e donne. Ma a tanta determinazione nel perseguitare si accostò anche la capacità e la forza di chi riuscì a sfuggire e continuò ad evangelizzare e… “le folle, unanimi, prestavano attenzione” a Filippo. Vangelo: “Gesù rivela luminosamente che egli è l’inviato del Padre. Ciò era stato già in precedenza annunziato da san Giovanni Battista, e Gesù stesso l’aveva asserito nel dialogo con Nicodèmo. Poiché Gesù è colui che è stato mandato dal Padre, il pane della vita disceso dal cielo per dare la vita al mondo, chiunque crede in lui ha la vita eterna; è infatti volontà di Dio che tutti siano salvati per mezzo di Gesù Cristo’’ (Bibbia di Navarra, nota).

Questa è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna – Dal Vangelo secondo Giovanni: In quel tempo, disse Gesù alla folla: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Riflessione: «Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna». Siamo nel cuore del Tempo Pasquale, continua in noi la gioia nel contemplare il Risorto. Questo Corpo glorioso di Cristo, vero Dio e vero uomo, si fa fisicamente nostro cibo nell’Eucaristia in cui ci nutriamo del suo vero Corpo, della sua Carne e del suo Sangue che ci vengono offerti a nutrimento per le nostre debolezze, come Medicina per le nostre infermità, come Rimedio per la nostra spirituale indigenza, come Luce per i nostri buoni propositi di conversione, come Grazia per i nostri meriti, come Riparazione delle nostre infedeltà. Contemplare il Risorto significa adorare il mistero eterno del Padre che ci ha creati per amore, per ammetterci alla comunione perfetta con sé. Contemplare il Risorto significa esaltare la volontà redentiva e riparatrice del Figlio che dona se stesso in espiazione dei nostri peccati e ci salva per le sue piaghe. Contemplare il Risorto significa glorificare lo Spirito Santo che è il Signore e dà la vita, che ci immette nella vita stessa di Dio e ci trasforma ad immagine del Figlio. Contemplare il Risorto significa magnificare con Maria e come Maria la Santissima Trinità per le grandi opere che ha compiuto a nostra salvezza, operando in noi meraviglie di grazia, innalzandoci alla dignità regale, spezzando ogni vincolo di male, ogni catena di morte. Ma contemplare il Risorto significa anche prenderci le nostre responsabilità: il Risorto toglie alla nostra coscienza ogni alibi! Il Risorto ci dice che Dio ha fatto tutto, ci ha dato tutto, e che ora tocca a noi. Ora sta a noi vivere da risorti. Ora sta a noi accogliere la sua salvezza. Ora dipende da noi, nell’esercizio della nostra libertà, scegliere di andare incontro al Cristo che ci porta la salvezza. Quel Corpo glorioso rimane eternamente un Corpo piagato, perché contemplandolo potessimo ricordarci di quanto è costata la nostra salvezza, di cosa è stato capace Dio per darci la vita eterna, di quanta misericordia ha esercitato per ammetterci alla comunione con sé. A noi, ora, il dolce onere di credere in lui, di fargli spazio nel nostro quotidiano, di riceverlo nel cuore. Contemplare e credere in Cristo per avere la vita eterna.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La gioia cristiana – Benedetto XVI (Omelia, 27 Aprile 2008): La prima Lettura, tratta dal capitolo VIII degli Atti degli Apostoli, narra la missione del diacono Filippo in Samaria. Vorrei attirare immediatamente l’attenzione sulla frase che chiude la prima parte del testo: “E vi fu grande gioia in quella città” (At 8,8). Questa espressione non comunica un’idea, un concetto teologico, ma riferisce un avvenimento circostanziato, qualcosa che ha cambiato la vita delle persone: in una determinata città della Samaria, nel periodo che seguì la prima violenta persecuzione contro la Chiesa a Gerusalemme (cfr. At 8,1), venne ad accadere qualcosa che causò “grande gioia”. Che cosa era dunque successo? Narra l’Autore sacro che, per sfuggire alla persecuzione scoppiata a Gerusalemme contro coloro che si erano convertiti al cristianesimo, tutti i discepoli, tranne gli Apostoli, abbandonarono la Città santa e si dispersero all’intorno. Da questo evento doloroso scaturì, in maniera misteriosa e provvidenziale, un rinnovato impulso alla diffusione del Vangelo. Fra coloro che si erano dispersi c’era anche Filippo, uno dei sette diaconi della Comunità […]. Or avvenne che gli abitanti della località samaritana, di cui si parla in questo capitolo degli Atti degli Apostoli, accolsero unanimi l’annuncio di Filippo e, grazie alla loro adesione al Vangelo, egli poté guarire molti malati. In quella città della Samaria, in mezzo a una popolazione tradizionalmente disprezzata e quasi scomunicata dai Giudei, risuonò l’annuncio di Cristo che aprì alla gioia il cuore di quanti l’accolsero con fiducia. Ecco perché dunque – sottolinea san Luca – in quella città “vi fu grande gioia”. Cari amici, questa è anche la vostra missione: recare il Vangelo a tutti, perché tutti sperimentino la gioia di Cristo e ci sia gioia in ogni città.

Mio cibo è fare la volontà del Padre – Paolo VI (Omelia, 2 Febbraio 1975): Gesù ci appare, fin dalla sua origine nel tempo, come l’interprete e l’esecutore della volontà del Padre. «Entrando nel mondo, leggiamo nella lettera agli Ebrei… Io dissi: ecco, Io vengo… per compiere, o Dio, la tua volontà!» (Eb 10,7); «mio cibo, Egli dirà nel Vangelo, consiste nel compiere la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 4,34); «per questo Io sono disceso dal cielo, non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato» (Gv 6,38); tutta la vita di Cristo è dominata infatti da questo collegamento con la volontà divina, fino al Gethsemani, dove l’uomo Gesù tre volte dirà: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice (dell’imminente passione), ma però non ciò che voglio Io, ma come vuoi Tu» (Mt 26,39); così che l’epigrafe della sua esistenza temporale sarà riassunta da S. Paolo così: «Umiliò Se stesso, fattosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Fil 2,8).

“Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” (Evangelium Gaudium 6) – Evangelii Gaudium 5: Il Vangelo, dove risplende gloriosa la Croce di Cristo, invita con insistenza alla gioia. Bastano alcuni esempi: «Rallegrati» è il saluto dell’angelo a Maria [Lc 1,28]. La visita di Maria a Elisabetta fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre [cfr. Lc 1,41]. Nel suo canto Maria proclama: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» [Lc 1,47]. Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni esclama: «Ora questa mia gioia è piena» [Gv 3,29]. Gesù stesso «esultò di gioia nello Spirito Santo» [Lc 10,21]. Il suo messaggio è fonte di gioia: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» [Gv 15,11]. La nostra gioia cristiana scaturisce dalla fonte del suo cuore traboccante. Egli promette ai discepoli: «Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia» [Gv 16,20]. E insiste: «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia» [Gv 16,22]. In seguito essi, vedendolo risorto, «gioirono» [Gv 20,20]. Il libro degli Atti degli Apostoli narra che nella prima comunità «prendevano cibo con letizia» [At 2,46]. Dove i discepoli passavano «vi fu grande gioia» [At 8,8], ed essi, in mezzo alla persecuzione, «erano pieni di gioia» [At 13,52]. Un eunuco, appena battezzato, «pieno di gioia seguiva la sua strada» [Ac 8,39], e il carceriere «fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per aver creduto in Dio» [At 16,34]. Perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia?

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Per coloro che credono in lui, Cristo è cibo e bevanda, pane e vino. Pane che fortifica e rinvigorisce, del quale Pietro dice: “Il Dio di ogni grazia, che ci ha chiamati alla sua gloria eterna in Cristo Gesù, ci ristabilirà lui stesso dopo breve sofferenza, ci rafforzerà e ci renderà saldi” [1Pt 5,10]. Bevanda e vino che allieta; è ad esso che si richiama il Profeta in questi termini: “Allieta l’anima del tuo servo; verso di te, infatti, o Signore, ho innalzato la mia anima” [Sal 85,4]. Tutto ciò che in noi è forte, robusto e solido, gioioso e allegro, per adempiere i comandamenti di Dio, sopportare la sofferenza, eseguire l’obbedienza, difendere la giustizia, tutto questo è forza di quel pane o gioia di quel vino» (Baldovino di Ford).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: «Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio. Se si cerca soltanto la volontà di Dio, si deve accettare quello che ci capita o che ci viene manifestato, come un dono di Dio e non stare a vedere e considerare se venga dalla natura o dalla grazia, o da dove o in qual modo: tutto ciò deve essere per noi indifferente. Allora uno è come deve essere; e si deve condurre una semplice vita cristiana, senza mirare a una condotta particolare. Quel che si fa è sempre sufficiente, se v’è in noi l’amore di Dio. L’anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta. Non vi giunge però con impeto, con la rigida ostinazione a fare questo e a lasciare quello, ma con la mitezza, in fedele umiltà e rinuncia a se stesso, nei confronti di tutto quello che capita. A questo mira ciò che si può consigliare e insegnare: che l’uomo si lasci condurre e non abbia che Dio in vista, per quanto questo si possa presentare con molte e diverse parole. L’uomo non deve pensare di progredire in una vita buona per il fatto che digiuna molto o compie molte opere esteriori; un segno del suo progresso è invece l’avere maggiore amore per le cose eterne e più avversione per quelle effimere. L’uomo deve rivolgere il proprio volere a Dio in ogni opera ed avere negli occhi Dio solo. E così proceda e non abbia timore, senza stare a considerare se così va bene per non compiere passi falsi. L’uomo deve seguire la prima ispirazione e procedere avanti; allora giunge dove deve e va bene così» (Meister Eckhart).

Santo del giorno: 18 Aprile – Beato Andrea da Montereale: “Nato a Mascioni (L’Aquila) da una modesta famiglia intorno al 1403, a quattordici anni entrò nel vicino monastero degli agostiniani di Montereale. Nel 1431 fu studente di teologia a Rimini, e negli anni successivi a Padova e Ferrara, ottenendo prima i gradi scolastici di lettore e baccelliere e poi quello di maestro in sacra teologia. Nel 1453 e nel 1471 fu eletto provinciale dell’Umbria. In più occasioni il generale dell’Ordine lo nominò suo vicario per ristabilire l’osservanza nei conventi di Norcia, di Amatrice e di Cerreto di Spoleto. Superate alcune incomprensioni e ingiuste accuse che lo spinsero a lasciare gli incarichi il beato Andrea nel 1471 fu eletto di nuovo provinciale. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nel convento di Montereale, dove morì nell’aprile del 1479 e dove, nella chiesa che fu dell’Ordine, si venerano le sue spoglie mortali. Il suo culto fu approvato da Clemente XIII l’11 maggio 1764” (Avvenire).

Preghiamo: Assisti, o Dio nostro Padre, questa tua famiglia raccolta in preghiera: tu che ci hai dato la grazia della fe

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