aprile, meditazioni

7 Aprile 2018

7 Aprile 2018 – Sabato fra l’Ottava di Pasqua – (At 4,13-21; Sal 117[118]; Mc 16,9-15) – I Lettura: La potenza di Dio costringe a mettere in discussione concetti inoppugnabili. L’azione di Pietro e di Giovanni, che introducono uno zoppo guarito nel Tempio, li pone direttamente in conflitto con i sacerdoti responsabili del luogo santo. Questi ultimi si trovano di fronte a una scelta: riconoscere il prodigio a discapito della loro credibilità o far tacere gli apostoli evitando di divulgare ulteriormente il fatto. Non ci sono alternative, ma far tacere lo Spirito Santo era praticamente impossibile. Salmo: “Il profeta si rivolge al popolo nuovo, fatto dei giudei e dei gentili: essi hanno un unico Redentore. Azione di grazie per la sua vittoria. I giudei sono invitati per primi a confessare Dio, perché essi sono stati chiamati per primi” (Atanasio). Vangelo: Marco è l’Evangelista che più di ogni altro ci mette dinanzi alla difficoltà, per gli apostoli, di credere nella risurrezione del Signore. Le donne credono ma gli uomini hanno più difficoltà. Non vogliono credere. Il non volere implica un atto della volontà. L’intelligenza avrebbe tutti i buoni motivi per accogliere la verità di Gesù Signore, ma la volontà le oppone un palese rifiuto. Si ostina nell’incredulità. È come se non volesse che Gesù fosse risorto. È come se amasse rimanere nelle sue vecchie immagini del Messia. Per questo il Signore li rimprovera.

Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo – Dal Vangelo secondo Marco: Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Riflessione: «Li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore». Concludiamo oggi la settimana detta “Ottava di Pasqua”, la settimana in cui liturgicamente si prolunga la gioia della risurrezione del Signore, come se fosse un unico lungo e grande giorno. E in questi giorni la Liturgia della Parola si è soffermata a mostrarci i diversi aspetti della Risurrezione di Gesù, le varie reazioni, la gioia delle donne, l’entusiasmo di Giovanni, la ponderatezza e la spontaneità di Pietro, la tristezza e lo stupore dei discepoli di Èmmaus, la desolazione e l’esaltazione dei discepoli in barca a pescare… Possiamo dire che i Vangeli ci mostrano tutto il ventaglio di sentimenti belli e brutti che quotidianamente ritroviamo in noi: le nostre reazioni, le nostre paure, i nostri entusiasmi, le nostre amarezze, perfino l’incredulità in Dio, nella sua Parola, nelle sue promesse. Il giorno di Pasqua e i giorni a seguire, erano stati più volte annunciati e descritti da Gesù: non dovevano fare altro che constatare che tutto corrispondeva a verità e credere ancor più nel Cristo, non solo per la sua Parola ma anche per l’esperienza personale che ciascun discepolo poteva fare direttamente: lo avevano visto, incontrato, toccato… avevano perfino mangiato insieme… eppure continuano ad avere dubbi, il loro cuore continua a farsi duro, a non aprirsi alla gioia. Chiediamoci il perché di un tale atteggiamento e cerchiamo di attualizzarlo nella nostra vita quotidiana: qui non c’è in gioco una semplice dichiarazione di fede (“credo” oppure “non credo”). Affermare che Gesù è risorto comporta necessariamente una serie di conseguenze: dire che Gesù è il Signore rimescola le nostre sicurezze, ci chiama a ridistribuire priorità e impegni. Credere nella sua Parola ci chiama a vivere secondo la sua volontà, a fidarci del suo progetto di santità e di salvezza per ogni uomo. È facile (e sopratutto comodo) credere in un Dio che si accontenta di qualche formula di preghiera, che si compiace delle nostre pie pratiche di pietà, che si soddisfa dei nostri piccoli sacrifici. Ma Gesù ci chiede altro: farci suoi compagni dopo aver rinnegato noi stessi e aver preso la nostra Croce, mettendo Dio al primo posto, protesi verso il Cielo, in comunione con ogni uomo!

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Annunciare il Vangelo con la propria vita più che con le parole – Mons. Giuseppe Costanzo, Arcivescovo: Le parole di condanna non risolvono i problemi. L’unica cosa che conta è annunciare con la propria vita che è possibile dare alla nostra esistenza senso e valore, nella donazione di sé. Le parole non contano più nulla, non bastano più i grandi predicatori, i grandi oratori. Non basterebbe neanche un Lacordaire! Oggi è l’epoca dei testimoni. Di coloro che con la propria vita fanno sentire che qualcosa è già accaduto nel tempo. È il tempo dei santi, quelli la cui vita è tutta trasparenza di Dio. Ha scritto Bergson: “Il santo non ha bisogno di esortare. Basta solo che esista. La sua vita interpella”.

La spiritualità missionaria. Lasciarsi condurre dallo Spirito – Redemptoris Missio 87: L’attività missionaria esige una specifica spiritualità che riguarda, in particolare, quanti Dio ha chiamato a essere missionari. Tale spiritualità si esprime, innanzittutto, nel vivere in piena docilità allo Spirito: essa impegna a lasciarsi plasmare interiormente da lui, per divenire sempre più conformi a Cristo. Non si può testimoniare Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla grazia e dall’opera dello Spirito. La docilità allo Spirito impegna poi ad accogliere i doni della fortezza e del discernimento, che sono tratti essenziali della stessa spiritualità. Emblematico è il caso degli apostoli, che durante la vita pubblica del Maestro, nonostante il loro amore per lui e la generosità della risposta alla sua chiamata, si dimostrano incapaci di comprendere le sue parole e restii a seguirlo sulla via della sofferenza e dell’umiliazione. Lo Spirito li trasformerà in testimoni coraggiosi del Cristo e annunziatori illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a condurli per le vie ardue e nuove della missione. Anche oggi la missione rimane difficile e complessa come in passato e richiede ugualmente il coraggio e la luce dello Spirito: viviamo spesso il dramma della prima comunità cristiana, che vedeva forze incredule e ostili «radunarsi insieme contro il Signore e contro il suo Cristo» (At 4,26). Come allora, oggi occorre pregare, perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il Vangelo; occorre scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la verità (Gv 16,13).

Una destinazione universale – Paolo VI (Esortazione Apostolica, Evangelii Nuntiandi 49): Le ultime parole di Gesù nel Vangelo di Marco conferiscono alla evangelizzazione, di cui il Signore incarica gli Apostoli, una universalità senza frontiere: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura». I Dodici e la prima generazione dei cristiani hanno ben compreso la lezione di questo testo e di altri simili; ne hanno fatto un programma di azione. La stessa persecuzione, disperdendo gli Apostoli, ha contribuito a disseminare la Parola e a far impiantare la Chiesa in regioni sempre più lontane. L’ammissione di Paolo al rango degli Apostoli e il suo carisma di predicatore ai pagani – non giudei – della venuta di Gesù Cristo ha ulteriormente sottolineato questo universalismo.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: «Dal momento che noi uomini non abbiamo voluto riconoscere Dio attraverso il suo Verbo e ci siamo rifiutati di servire il Verbo di Dio, nostro naturale signore, è piaciuto a Dio di manifestare in un uomo la sua autorità e di attrarre tutti a sé. Non era conveniente, peraltro, che ciò avvenisse in virtù di un uomo come tutti gli altri, onde evitare che, avendo un uomo come signore, onorassimo la dimensione umana in quanto tale. È questo il motivo per cui il Verbo stesso si fece carne, assumendo il nome di Gesù, e il Padre lo rese Signore e Cristo, destinandolo, cioè, a dominare e a regnare. Nel nome di Gesù, pertanto, mentre ogni ginocchio si piega, noi riconosciamo altresì lo stesso Figlio come Signore e Re e, per il suo tramite, perveniamo alla conoscenza del Padre» (Atanasio).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: L’incredulità regna sovrana nel cuore degli Undici e annebbia la mente. Gesù era apparso a Maria di Màdagla, ma non le avevano creduto: Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Questa nota non è del tutto fuori posto, ma c’è qualcosa che non quadra. Se muore un amico si fa il lutto e si piange, ma qui l’amico era il Maestro e il Maestro aveva parlato della sua morte e della sua risurrezione. Quindi gli Undici dovevano “sapere”. Se così stanno le cose bisogna ammettere che gli Undici o non avevano capito o si erano fermati al Venerdì santo senza andare oltre perché non avevano fede. La stessa cosa era capitata ai discepoli di Emmaus, ma quando fecero scendere nel loro cuore il balsamo della Parola di Dio e aprirono la bocca per ricevere il Pane della Vita, allora il loro cuore si incendiò, la loro mente comprese e i loro occhi contemplarono il volto raggiante del Risorto. Una buona lezione per tutti noi. La Chiesa da duemila anni annuncia che Gesù è risorto, e noi stiamo lì aggrappati a quel Venerdì santo, che forse ci fa comodo perché promuove la nostra pigrizia, evitando di fare qualche passo per giungere a una tomba vuota. Siamo ancora in lutto e pianto. I Vangeli allora ci suggeriscono la medicina. Facciamo sì che Gesù diventi nostro compagno di viaggio, apriamo il cuore alla Parola di Dio, sediamo al banchetto dell’Agnello e allora, con fedeltà e grande slancio, accoglieremo il mandato missionario: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Questa è la forza della Risurrezione, da pigri e inetti ci trasforma in dinamici missionari della Parola. Cacciando via il gelido vento dell’incredulità il cuore si aprirà al fuoco delle cose celesti, l’orecchio si farà attento alla Parola di Dio, mentre insorgerà la “fame di Lui”, “mangiare ora il suo benedetto Corpo” perché gli occhi dell’anima si apparecchino a contemplare il Risorto, gioia e delizia dei beati.

Santo del giorno: 7 Aprile – San Giovanni Battista de La Salle, Sacerdote: “Nasce a Reims il 30 aprile 1651 da genitori nobili, ma non ricchi, e con dieci figli. Si laurea in lettere e filosofia; è sacerdote nel 1678, e a Reims assume vari incarichi, collaborando anche all’attività delle scuole fondate da Adriano Nyel, un laico votato all’istruzione popolare. Scuole gestite però da maestri ignoranti e senza stimoli. E proprio dai maestri parte la sua opera. Riunisce quelli di Nyel in una casa comune, vive con loro, studia e li fa studiare, osserva metodi e organizzazione di altre scuole. Insegna un metodo e abolisce le lezioni in latino, introducendo in ogni disciplina la lingua francese. Nel 1680 nasce la comunità dei «Fratelli delle Scuole Cristiane». In genere non sono preti, vestono una tonaca nera con pettorina bianca, con un mantello contadino e gli zoccoli, e sotto la guida del La Salle aprono altre scuole. Nel 1687 hanno già un loro noviziato. Nel 1688 sono chiamati a insegnare a Parigi dove in un solo anno i loro allievi superano il migliaio. A causa di critiche e ostacoli esterni da Parigi dovrà portare la sua comunità nel paesino di Saint-Yon, presso Rouen, dove morirà il 7 aprile 1719” (Avvenire).

Preghiamo: O Padre, che nella tua immensa bontà estendi a tutti i popoli il dono della fede, guarda i tuoi figli di elezione, perché coloro che sono rinati nel Battesimo ricevano la veste candida della vita immortale. Per il nostro…

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