maggio, meditazioni

27 APRILE 2020 – LUNEDÌ, III SETTIMANA DI PASQUA

      I Lettura: Pur di abbattere il nemico spesso si usano anche mezzi disonesti, come quello di avvalersi di falsi testimoni. Così per Gesù, così per Stefano, che sarà venerato dalla Chiesa come protomartire. Il volto di Stefano si mostra luminoso come quello di un angelo. Questo particolare ricorda il volto trasfigurato di Gesù e la luminosità del volto di Mosè, che discendendo dal monte, rifletteva lo splendore della gloria di Dio. I membri del sinedrio assistono a una trasfigurazione di Stefano, che vede la gloria di Dio (cfr At 7,55-56).

Vangelo: Gesù, invitando i giudei a darsi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna, li esorta a credere in Lui, pane vero disceso dal cielo. Come la Sapienza invita gli uomini a mangiare il suo pane e a bere il suo vino (cfr Pro 9,1-6; Sir 24,19-22), così Gesù invita a mangiare la sua carne, il pane vero che dà la vita al mondo e a bere il suo sangue, «versato per tutti gli uomini, in remissione dei peccati» (Mt 26,28).

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna – Dal Vangelo secondo Giovanni

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnào alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbi, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo – CCC 698: Il sigillo è un simbolo vicino a quello dell’Unzione. Infatti su Cristo “Dio ha messo il suo sigillo” (Gv 6,27), e in lui il Padre segna anche noi con il suo sigillo. Poiché indica l’effetto indelebile dell’Unzione dello Spirito Santo nei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine, l’immagine del sigillo [“sphragis”] è stata utilizzata in certe tradizioni teologiche per esprimere il “carattere” indelebile impresso da questi tre sacramenti che non possono essere ripetuti.

Tre cose da distinguere nell’Eucaristia – Catechismo Tridentino 217: Tre sono sopratutto le cose mirabili e degne di considerazione, che in questo sacramento avvengono in forza della consacrazione, come la fede Cattolica senza alcun dubbio crede e confessa. La prima è che nell’Eucaristia si contiene il vero corpo di N. S. Gesù Cristo; quello medesimo che nacque dalla vergine Maria e ora siede in cielo alla destra del Padre. La seconda è che non resta in essa nulla della sostanza degli elementi, sebbene ciò sembri opposto e contrario alla testimonianza dei sensi. La terza, che si ricava facilmente dalle due precedenti e che viene positivamente espressa dalle parole della consacrazione, si è che, per una disposizione inesplicabile e miracolosa, gli accidenti che si vedono con gli occhi o che si percepiscono con gli altri sensi, rimangono senza il loro sostrato o soggetto. Certo, si vedono tutti gli accidenti del pane e del vino; ma essi non si appoggiano ad alcuna sostanza, ma sussistono da sé: essendosi la sostanza del pane e del vino mutata nel corpo e nel sangue del Signore, la stessa sostanza cessa di esistere.

Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato: Libertà dell’atto di fede – Dignitatis Humanae 10: Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri, è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà. Infatti, l’atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell’ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita.

Credere in Gesù Cristo, Figlio di Dio – CCC 151: Per il cristiano, credere in Dio è inseparabilmente credere in Colui che Egli ha mandato, “il suo Figlio prediletto” nel quale si è compiaciuto (Mc 1,11); Dio ci ha detto di ascoltarlo. Il Signore stesso dice ai suoi discepoli: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1). Possiamo credere in Gesù Cristo perché Egli stesso è Dio, il Verbo fatto carne: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato” (Gv1,18). Poiché Egli “ha visto il Padre” (Gv 6,46), è il solo a conoscerlo e a poterlo rivelare.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa

Datevi da fare per il cibo che rimane per la vita eterna – «Sì, lo si cerca sempre… Per cui, coloro che lo trovano lo cercano ancora, quelli che lo mangiano ne hanno ancora fame… Tale ricerca, però, rimuove ogni preoccupazione, tale fame scaccia ogni fame… È fame non dell’indigenza, bensì della felicità consumata. Della fame dell’indigente, è detto: “Chi viene a me non avrà più fame, chi crede in me non avrà più sete”. Della fame del beato, invece: “Coloro che mi mangiano avranno ancora fame; quelli che mi bevono avranno ancora sete”» (Baldovino di Ford).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia

«Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Anche oggi la Liturgia della Parola ci invita a fare la cosa più bella, l’unica che ci da salvezza: credere nell’opera di Dio, credere nella sua misericordia redentrice, lasciarsi plasmare dalla sua divina Volontà. Potremmo obiettare che credere è un’opera nostra e non di Dio, in quanto sta a noi, alla nostra libertà scegliere e operare nella direzione di Dio. E invece dobbiamo ricordarci che a noi compete semplicemente (è poco, ma è tutto quello che dobbiamo fare!) aprire la porta a Dio, permettergli di operare in noi, concedergli spazio di azione, lasciarci guidare come le nubi col vento al soffio del suo Santo Spirito. Credere significa, quindi, far mettere Dio all’opera. E quanto desidera Dio poter operare in noi! E per mezzo nostro, rendendoci luce e sale, lievito di vita nuova, egli compie la sua opera salvifica per ogni uomo. Credere in Dio è dunque lasciarsi lavorare da lui. Chi afferma di credere ma non realizza l’opera di Dio è come colui che dice “Signore, Signore” ma non compie la sua volontà (cfr Mt 7,21); come colui che ascolta la Parola come uno smemorato (cfr Gc 1,25): sarà una fede fasulla che non gli porterà salvezza ma solo illusione, non lo condurrà alla perfezione ma lo lascerà in una diabolica oziosa quiete.

Preghiamo

O Dio, che manifesti agli erranti la luce della tua verità, perché possano tornare sulla retta via, concedi a tutti coloro che si professano cristiani di respingere ciò che è contrario a questo nome e di seguire ciò che gli è conforme. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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