marzo, meditazioni

16 MARZO 2020 – LUNEDÌ, III DEL TEMPO DI QUARESIMA

I Lettura: Il senso principale di questo brano è che JHWH è un Dio universale. L’Altissimo che per mezzo di Naamàn aveva accordato la salvezza ad Aram, per mezzo di Elisèo ottiene la guarigione attesa. L’episodio è simbolo del Battesimo ed è ripreso nel NT, dai Padri della Chiesa e dalla liturgia. Due grandi ostacoli dovette superare Naamàn nel suo itinerario di fede: l’amor proprio e la mentalità magica. Conversione che ogni candidato ai sacramenti è esortato ad intraprendere.

Vangelo: In Gesù di Nàzaret riconosciamo i tratti espliciti del vero profeta. Essi traspaiono, in primo luogo, dalla sua consapevolezza di avere un destino pasquale davanti a sé e di doverlo affrontare con docilità e con coraggio. La povertà della vedova, la malattia di Naaman e, di riflesso, il ministero di Elìa e di Eliseo, offrono a Gesù l’opportunità di presentarsi come il benefattore dell’uomo in difficoltà. Egli infatti è colui che da ricco qual era si è fatto povero per farci ricchi della sua povertà. Egli è il medico celeste che è venuto per guarirci dalla malattia mortale.

Gesù come Elìa ed Elisèo è mandato non per i soli Giudei – Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret]: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mi-se in cammino.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

La lebbra – Paolo VI (Angelus, 29 gennaio 1978): La lebbra non è più quel malanno inguaribile, contagioso e maledetto, ch’era sempre considerato, essa rimane infermità tipica, che non solo esige assistenza sanitaria specializzata, ma rappresenta un fenomeno simbolico dell’umana infermità, che il Vangelo affronta con miracolosa energia e che, sempre alla luce del Vangelo, c’insegna, primo, non esservi malanno umano, per deforme e ripugnante che sia, al quale non si debba prodigare rispetto, cura e rimedio. La carità cristiana, felice d’avere seguaci che la sopravanzano, è stata all’avanguardia in questa lotta, ritenuta per tanto tempo disperata, contro la lebbra, proprio per il carattere di questa malattia estremamente nemico e distruttore delle membra vive dell’uomo, tanto ch’è ormai acquisito alla civiltà il dovere generale di prodigare ogni cura dove il male e il dolore sono maggiori.

Gesù nella “sua passione, diventerà come un lebbroso” – Benedetto XVI (Angelus, 15 febbraio 2009): Secondo l’antica legge ebraica (cfr Lv 13-14), la lebbra era considerata non solo una malattia, ma la più grave forma di “impurità”. Spettava ai sacerdoti diagnosticarla e dichiarare immondo il malato, il quale doveva essere allontanato dalla comunità e stare fuori dall’abitato, fino all’eventuale e ben certificata guarigione. La lebbra perciò costituiva una sorta di morte religiosa e civile, e la sua guarigione una specie di risurrezione. Nella lebbra è possibile intravedere un simbolo del peccato, che è la vera impurità del cuore, capace di allontanarci da Dio. Non è in effetti la malattia fisica della lebbra, come prevedevano le vecchie norme, a separarci da Lui, ma la colpa, il male spirituale e morale. Per questo il Salmista esclama: “Beato l’uomo a cui è tolta la colpa / e coperto il peccato”. E poi, rivolto a Dio: “Ti ho fatto conoscere il mio peccato, / non ho coperto la mia colpa. / Ho detto: Confesserò al Signore le mie iniquità, / e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato” (Sal 31/32,1.5). I peccati che commettiamo ci allontanano da Dio, e, se non vengono confessati umilmente confidando nella misericordia divina, giungono sino a produrre la morte dell’anima. Questo miracolo riveste allora una forte valenza simbolica. Gesù, come aveva profetizzato Isaia, è il Servo del Signore che “si è caricato delle nostre sofferenze, / si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4). Nella sua passione, diventerà come un lebbroso, reso impuro dai nostri peccati, separato da Dio: tutto questo farà per amore, al fine di ottenerci la riconciliazione, il perdono e la salvezza. Nel Sacramento della Penitenza Cristo crocifisso e risorto, mediante i suoi ministri, ci purifica con la sua misericordia infinita, ci restituisce alla comunione con il Padre celeste e con i fratelli, ci fa dono del suo amore, della sua gioia e della sua pace.

L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? – Giovanni Paolo II (Omelia, 1 febbraio 1986): Mentre l’uomo si sforza di conoscere Dio, di vedere il suo volto e sperimentare la sua presenza, Dio si rivolge all’uomo per rivelargli la sua vita. Il Concilio Vaticano II si sofferma a lungo sull’importanza dell’intervento di Dio nel mondo. Esso spiega che “con la divina rivelazione Dio volle manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo alla salvezza degli uomini” (Dei Verbum 6). Allo stesso tempo, questo Dio misericordioso e amorevole che comunica se stesso attraverso la rivelazione rimane ancora per l’uomo un imperscrutabile mistero. E l’uomo, il pellegrino dell’Assoluto, continua per tutta la vita a cercare il volto di Dio. Ma al termine del pellegrinaggio di fede, l’uomo giunge alla “casa del Padre”, ed essere in questa “casa” significa vedere Dio “a faccia a faccia” (1Cor 13,12). Questo vedere Dio “a faccia a faccia” è il più profondo desiderio dello spirito umano. Quanto eloquenti a questo proposito sono le parole dell’apostolo Filippo […] là dove egli dice: “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Gv 14,8). Queste parole sono effettivamente eloquenti perché danno testimonianza della sete e del desiderio più profondi dello spirito umano; ma più eloquente ancora è la risposta che dà Gesù. Spiega Gesù: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9). Gesù è la rivelazione del Padre; egli spiega al mondo com’è il Padre, non perché egli sia il Padre, ma perché egli è tutt’uno col Padre nella comunione della vita divina. Nelle parole di Gesù: “Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Gv 14,11). L’uomo non deve più cercare Dio da solo. Insieme a Cristo, l’uomo scopre Dio e lo scopre in Cristo.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa

L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente – “Il secondo libro del Salterio si apre con un paragone sull’animale che è quasi un simbolo della sete: il cervo. Chi ha cominciato a gustare Dio [con il primo libro del Salterio] desidera la sua presenza e la sua comunione più di quanto il cervo non desideri le sorgenti d’acqua viva: trovandole, questi beve a sazietà. Non è come per la sete naturale: la sorgente divina che penetra nell’uomo trascina verso Dio chiunque ne abbia bevuto, e gli comunica parte della sua forza” (Gregorio Nisseno).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia

«In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria». L’affermazione di Gesù sembrerebbe quasi un voler giudicare anzitempo il cuore degli uomini: perché mai un profeta dovrebbe essere accolto fuori e non dentro la sua patria? Perché dovrebbe trovare persecuzione e rifiuto proprio dai suoi? Possiamo dare due risposte, una storica e una spirituale. Quella storica si riferisce al fatto che già il popolo di Israele aveva rifiutato di ascoltare i profeti inviati da Dio e si accingeva a rifiutare lo stesso Figlio (come afferma più chiaramente nella parabola dei vignaiuoli). La risposta più spirituale, e che ci riguarda da vicino, si riferisce al fatto che chi afferma la Verità diventa scomodo per i suoi vicini. Il nostro cuore, infatti, è sempre trascinato verso il basso, verso i piaceri, verso l’egoismo, verso il peccato. In tale situazione, è considerato amico chi si fa “compagno di merenda”, cioè approva o almeno non rimprovera il nostro agire. Ma se uno viene a riportare la misura alta del Vangelo mette la nostra coscienza dinanzi all’esigenza della conversione: a quel punto o ammetto il mio peccato e mi converto oppure rifiuterò di accogliere le parole dell’amico tacciandolo di fanatismo, come sovvertitore, rigido e fondamentalista.

Preghiamo

Con la tua continua misericordia, o Padre, purifica e rafforza la tua Chiesa, e poiché non può sostenersi senza di te non privarla mai della tua guida. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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