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18 FEBBRAIO 2020 – MARTEDÌ, VI DEL TEMPO ORDINARIO

I Lettura: La tentazione è una tappa necessaria per giungere alla santità, ma non può avere alla sua origine Dio, che è Padre e dal quale proviene ogni dono perfetto. Essa viene dalla concupiscenza, da qui il peccato e dal peccato la morte. Dio con la sua grazia ci sostiene in ogni passo.

      Vangelo: Durante la traversata del lago i discepoli fraintendono la raccomandazione di Gesù di guardarsi dal lievito dei farisei e da Erode e credono che Gesù si lamenti per il fatto che non hanno preso con loro il pane necessario. I discepoli, induriti come l’antico Israele e preoccupati per il cibo materiale, non si aprono con fiducia ad accogliere l’insegnamento metaforico.

Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode – Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un solo pane. Allora Gesù li ammoniva dicendo: «Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Ma quelli discutevano fra loro perché non avevano pane. Si accorse di questo e disse loro: «Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Dodici». «E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?». Gli dissero: «Sette». E disse loro: «Non comprendete ancora?».

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

Guardatevi dal lievito dei farisei – Giovanni Paolo II (Omelia, 20 ottobre 2000): Nella pagina di Vangelo proclamata poco fa Gesù mette in guardia i discepoli dall’assumere atteggiamenti ipocriti, illudendosi di poter mascherare cose non buone sotto un’onesta apparenza. Il Signore ci ricorda che tutto è destinato a venire alla luce, anche le cose nascoste e segrete.

La tentazione – Catechismo Tridentino 460.412: Si dice tentare il fare un esperimento sopra colui che è tentato, in modo che, cavando da lui ciò che desideriamo, otteniamo la verità; modo di tentare che Dio non usa, perché che cosa non sa Dio? Tutto, infatti, è nudo e scoperto agli occhi di lui (Eb 4,13). C’è poi un altro modo di tentare, quando andando più oltre, si cerca di esercitare qualche cosa in bene o in male: in bene, quando si mette alla prova la virtù di uno per poterlo poi, esaminata e constatata la sua virtù, elevare con ricompense ed onori, e mettere così l’esempio di lui dinanzi agli occhi degli altri perché lo imitino, incitando tutti a renderne lode al Signore. È questo l’unico modo di tentare che convenga a Dio. Esempio di esso si trova nel Deuteronomio: Il Signore Iddio vi mette alla prova per chiarire se lo amiate o no (Dt 13,3). Così si dice che Dio mette in tentazione i suoi fedeli, quando li preme con miseria, malattie, o altre specie di calamità, per mettere in luce la loro pazienza e additare agli altri il dovere del cristiano. In questo modo leggiamo che fu tentato Abramo quando gli fu richiesto di immolare il figlio; ed egli, avendo ubbidito, restò ai posteri modello di sottomissione e di pazienza singolare (Gen 22). Sempre in quest’ordine di idee è detto di Tobia: Poiché eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti mettesse alla prova (Tb 12,13). In male, invece, sono tentati gli uomini, quando vengono spinti al peccato o alla morte; e questa è opera del demonio che tenta gli uomini per traviarli e farli cadere: perciò è detto tentatore nella sacra Scrittura (Mt 4,3). In queste tentazioni ora egli eccita gli stimoli interni, servendosi dei sentimenti e dei movimenti dell’animo come di mezzi; ora, invece, assale dall’esterno, adoperando i beni per insuperbirci e i mali per abbatterci; a volte ha come emissari e quasi spie uomini perduti, in prima linea gli eretici che, seduti sulla cattedra di pestilenza, diffondono i germi mortiferi delle cattive dottrine. Così spingono al male gli uomini che, essendo già di loro proclivi al male, sono poi sempre vacillanti e pronti a cadere, mancando loro il potere di distinguere e di scegliere tra virtù e vizio.

Non ci abbandonare alla tentazione – CCC 2846-2847: Questa domanda va alla radice della precedente, perché i nostri peccati sono frutto del consenso alla tentazione. Noi chiediamo al Padre nostro di non «indurci» in essa. Tradurre con una sola parola il termine greco è difficile: significa «non permettere di entrare in», «non lasciarci soccombere alla tentazione». «Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male» (Gc 1,13); al contrario, vuole liberarcene. Noi gli chiediamo di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato. Siamo impegnati nella lotta «tra la carne e lo Spirito». Questa domanda implora lo Spirito di discernimento e di fortezza. Lo Spirito Santo ci porta a discernere tra la prova, necessaria alla crescita dell’uomo interiore in vista di una «virtù provata», e la tentazione, che conduce al peccato e alla morte. Dobbiamo anche distinguere tra «essere tentati» e «con-sentire» alla tentazione. Infine, il discernimento smaschera la menzogna della tentazione: apparentemente il suo oggetto è «buono, gradito agli occhi e desiderabile» (Gen 3,6), mentre, in realtà, il suo frutto è la morte. «Dio non vuole costringere al bene: vuole persone libere […]. La tentazione ha una sua utilità. Tutti, all’infuori di Dio, ignorano ciò che l’anima nostra ha ricevuto da Dio; lo ignoriamo perfino noi. Ma la tentazione lo svela, per insegnarci a conoscere noi stessi e, in tal modo, a scoprire ai nostri occhi la nostra miseria e per obbligarci a rendere grazie per i beni che la tentazione ci ha messo in grado di riconoscere».

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa

Non capite ancora? – «Hai visto la sua grande irritazione? In nessun’altra occasione lo si vede rimproverarli così. Perché lo fa? Per eliminare ancora il pregiudizio relativo ai cibi… Non va bene in ogni caso la mitezza; come infatti li rendeva partecipi della sua familiarità, così li rimprovera… Perciò indica il numero di coloro che erano stati nutriti e degli avanzi, al tempo stesso per far ricordare loro il passato e per renderli più attenti verso il futuro» (Giovanni Crisostomo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia

«Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!». Quando facciamo l’impasto per il pane, non basta mescolare farina e acqua, ma bisogna aggiungere il lievito affinché la pasta fermenti. Il lievito è un agente esterno all’impasto che, mescolato ad esso dopo un po’ farà sì che tutto l’impasto sia lievitato, cioè gonfiato di anidride carbonica al fine di rendere più morbido il pane. Gesù ci invita ad essere lievito in questo mondo, affinché tutta la terra sia fermentata dalla grazia di Dio che opera per mezzo dello Spirito Santo. Ma c’è un lievito velenoso, che agisce in ugual misura: è ciò a cui si riferisce Gesù nel Vangelo di oggi. Cosa sia questo lievito Gesù lo spiega bene altrove: è la dottrina dei farisei (cfr Mt 16,12) che porta ad una religione e ad una prassi ipocrita (cfr Lc 12,1). La falsa dottrina, il dubbio di fede, la contestazione del Magistero della Chiesa, la critica alle norme Canoniche, se lasciate a contatto del nostro cuore, a poco a poco, in maniera lenta ma continua, avvelenano come lieviti maligni la nostra anima e la porteranno alla ribellione e perfino all’eresia o al rinnegamento di Dio. Così l’ipocrisia, nella misura in cui trova spazio in noi, senza che ce ne rendiamo conto cresce a dismisura facendoci apparire belli come quei sepolcri imbiancati ma pieni di putridume (cfr Mt 23,27-28): così saremo apparentemente impeccabili ma pieni di giudizi contro gli altri, superbi ed egoisti.

Preghiamo

O Dio, che hai promesso di essere presente in coloro che ti amano e con cuore retto e sincero custodiscono la tua parola, rendici degni di diventare tua stabile dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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