meditazioni, Novembre

13 Novembre 2019

I Lettura: La Sapienza nell’AT è intesa anche come «Saggezza», pratica da applicare nell’ambito della vita e delle relazioni umane. Chi esercita l’autorità deve mettersi alla scuola della Sapienza e conformarsi alla volontà di Dio.

      Vangelo: In merito alla lebbra vi erano regole complicate e severe. I nove Ebrei guariti da Gesù per osservarle, dimenticarono il dovere della riconoscenza. Solo il samaritano, libero dalle prescrizioni della legge, ritorna indietro per ringraziare. La sua riconoscenza è indice di grande disponibilità all’azione della grazia operata dalla fede.

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero – Dal Vangelo secondo Luca

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa

Ascoltate, o re, perché impariate la sapienza – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 29 gennaio 2003):  La sapienza è come una lampada che illumina le nostre scelte morali di ogni giorno e ci conduce sulla retta via, a «conoscere che cosa è gradito agli occhi del Signore e ciò che è conforme ai suoi decreti» (cfr. Sap 9,9). Per questo la Liturgia ci fa pregare con le parole del Libro della Sapienza all’inizio di una giornata, proprio perché Dio con la sua sapienza sia accanto a noi e «ci assista e affianchi nella fatica» quotidiana (cfr Sap 9,10), svelandoci il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Con la mano nella mano della Sapienza divina noi ci inoltriamo fiduciosi nel mondo. A lei ci aggrappiamo, amandola di amore sponsale sull’esempio di Salomone che, sempre secondo il Libro della Sapienza, confessava: «Questa (cioè la sapienza) ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza» (Sap 8,2).

Gli vennero incontro dei lebbrosi – Giovanni Paolo II (Omelia, 21 Settembre 1986): In un altro passo del Vangelo è detto che Gesù, toccò (Lc 5,13) il lebbroso presentatosi a lui. Gesù si lascia dunque incontrare, egli si è fatto nostro prossimo per essere incontrato da noi proprio sulla soglia più tragica e pesante della sofferenza. Dalla croce egli ci insegna a cercare nel malato lo stesso suo volto, ad avvicinare chi soffre proprio là dove questi sperimenta la sua indigenza. Quanti sono e dove sono oggi i lebbrosi? Si parla di cifre che oscillano tra gli undici e i venti milioni: sono persone, disperse, per la maggior parte, nelle regioni più povere del nostro pianeta. Si tratta spesso di un fenomeno che sfugge alle normali possibilità di controllo e di aiuto. Nonostante lo sforzo di anime generose, molti ammalati rimangono esclusi dalla comune assistenza e dalle cure, e quindi dalla guarigione, che oggi la scienza medica potrebbe offrire loro. L’esempio di Cristo ci deve incoraggiare a persistere nell’impegno nei confronti di quelle situazioni sociali che risultano tuttora insensibili o impotenti di fronte al dramma della lebbra. Non ci si deve arrendere, se gli sforzi appaiono talvolta privi di risultato o se ci si trova di fronte ad ambienti nei quali il terrore del male ispira misure di difesa disumane, frutto di avversioni istintive e irrazionali verso il malato. Dobbiamo continuare ad operare perché proprio questi ambienti, che sembrano più refrattari, si aprano anch’essi alla speranza. Accogliamo il grido rivolto a Gesù dagli stessi lebbrosi: “Gesù, Maestro, abbi pietà di noi” (Lc 17,13).

Riconoscenza, omaggio a Dio… – CCC 2062: I comandamenti propriamente detti vengono in secondo luogo; essi esprimono le implicanze dell’appartenenza a Dio stabilita attraverso l’Alleanza. L’esistenza morale è risposta all’iniziativa d’amore del Signore. È riconoscenza, omaggio a Dio e culto d’azione di grazie. È cooperazione al piano che Dio persegue nella storia.

Il sacrificio – CCC 2099: È giusto offrire sacrifici a Dio in segno di adorazione e di riconoscenza, di implorazione e di comunione: «Ogni azione compiuta per aderire a Dio rimanendo con lui in comunione, e poter così essere nella gioia, è un vero sacrificio».

Ringraziare Dio per il dono della vita – CCC 2280: Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel’ha donata. Egli ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa

«Non furono dieci a essere guariti; e gli altri nove dove sono? … Anche oggi vediamo molti impegnati a chiedere ciò di cui sanno d’aver bisogno, ma vediamo ben pochi che si preoccupano di ringraziare per ciò che hanno ricevuto. E non è che è male chiedere con insistenza; ma l’essere ingrati toglie forza alla domanda. E forse è un tratto di clemenza il negare agli ingrati il favore che chiedono. Che non capiti a noi di essere tanto più accusati d’ingratitudine, quanto maggiori sono i benefici che abbiamo ricevuto. È dunque un tratto di misericordia, in questo caso, negare misericordia, com’è un tratto d’ira mostrare misericordia, certo quella misericordia di cui parla il Padre della misericordia attraverso il Profeta, quando dice: “Facciamo misericordia al malvagio, ed egli non imparerà a far giustizia” [Is 26,10] … Vedi, dunque, che non giova a tutti essere guariti dalla lebbra della conversione mondana, i cui peccati son noti a tutti; ma alcuni contraggono un male peggiore, quello dell’ingratitudine; male che è tanto peggiore, quanto è più interno” (San Bernardo di Chiaravalle).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia

«Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». Dare gloria a Dio dovrebbe essere non solo la cosa più spontanea e facile, ma anche la più realizzante e gioiosa. Dare gloria a Dio è il frutto più bello di un cuore grato: quando gli occhi si aprono alla luce della grazia, le membra si muovono al ritmo dello Spirito e tutta la nostra esistenza riceve dal Signore energia e vita, non ci resta altro da fare che aprire la nostra bocca alla lode, dando gloria a Colui che si è fatto nostro Medico nelle infermità; nostro Pastore nel cammino, spesso insidioso, della vita; nostra Luce nelle tenebre del peccato e della morte. Se non sentiamo questo bisogno di dare gloria a Dio attraverso la testimonianza concreta della gioia e della lode, è per due motivi: o non ci siamo resi conto del disastro che il peccato ha combinato in noi, o non ci siamo resi conto della meraviglia che ha operato Cristo a rimedio del nostro peccato! Se non ci avvediamo della lebbra del peccato che ci consuma, non sentiremo il bisogno di andare dal Signore; se non ci avvediamo della salvezza che abbiamo riacquistato per mezzo della sua morte redentrice, della vita che abbiamo per mezzo del suo Sangue, non sentiremo il bisogno di tornare a lui per rendergli gloria. Vivremo, quindi, come se Dio non ci fosse, oppure come se mai ci avesse salvati.

Preghiamo

Dio grande e misericordioso, allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché, nella serenità del corpo e dello spirito, possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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