Vita e bioetica

Il falso medico che diagnostica l’eutanasia

Mentre il Parlamento italiano si appresta a ricevere la legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (“testamento biologico), che approderanno alla commissione Affari sociali della Camera martedì prossimo con un testo sulla sospensione eutanasica di alimentazione e idratazione, la stampa inglese ha riportato un episodio che descrive bene da quale concezione perversa nascano simili norme.

Sabato scorso il Daily Mail ha intervistato l’ex psichiatra inglese Colin Brewer, già radiato dall’ordine dei medici nel 2006 dopo la morte di uno dei suoi pazienti a cui aveva procurato delle pillole letali. Eppure lo psichiatra ha continuato a fornire consulenze perché, ha spiegato al quotidiano, “non serve essere un medico per valutare le capacità mentali. E’ utile ma non necessario”. Perciò, a patto che spieghi loro di non essere più un medico, Brewer fa diagnosi e indisturbato invia alle cliniche della morte svizzere rapporti che attestano la malattia mentale di quanti lo contattano. Tutto ciò accade perché nonostante l’eutanasia sia illegale nel suo pese, esistono però le dichiarazioni anticipate di trattamento che sanciscono l’autodeterminazione del paziente (creando anche non pochi problemi su casi dubbi di sospensione dei sostegni vitali ad insaputa dei pazienti). E’ così che a fermarlo non è bastato neppure il fatto che fra i 18 malati passati da lui tra il 2013 e il 2016, poi uccisi nei tre mesi successivi presso la Dignitas di Zurigo e la Life Circle di Basilea, 6 erano affetti da demenza senile. Seguendo una prassi elvetica che per altro dimostra la mancanza di ogni argine all’autodeterminazione, tanto che la diagnosi per procedere alla somministrazione delle sostanze letali pare un puro cavillo burocratico che può essere superato anche da un medico radiato dall’albo.

L’ex psichiatra ha aggiunto che “sempre più persone vivono abbastanza a lungo da ammalarsi di demenza, sebbene la maggioranza delle persone che ho incontrato sono sulla settantina e quindi non molto anziane” e che è sufficiente la percezione da parte loro di “un graduale annientamento delle proprie personalità per diagnosticare la demenza”. Anche perché “la personalità è la cosa più importante per molte persone. Coincide con quello che sono”. Secondo un’idea per cui l’uomo vale solo fino a quando è padrone di sé e per cui il limite non è accettabile. Tanto che, se non si riesce a superarlo, meglio eliminare se stessi da un’esistenza di cui non si è più padroni e che dunque perde di significato diventando intollerabile. Perché di fatto la mentalità che spinge all’approvazione dell’eutanasia nasce dall’illusione diabolica di un uomo abituato a vivere pensando di essere il dio di se stesso, che si ribella di fronte alla realtà della dipendenza a cui la malattia lo richiama. “Nessuno di loro mi ha detto che voleva andare in Svizzera perché sono un peso per la famiglia. Mi dicevano, io vado perché sto per perdere la testa e non voglio essere vivo quando succede”, ha continuato Brewer.

Contro di lui hanno parlato le associazioni inglesi dei malati che combattono le legislazioni frutto della medesima ottica prometeica che diffondono. Dato che una volta che si rende legge l’idea che la vita sia disponibile non c’è più alcun argine alla sua diffusione. Come ha ricordato Alistar Thompson, portavoce dell’associazione Care Not Killing, chiarendo che, accettando che le persone si uccidano “perché sto per perdere la testa” poi altre saranno spinte alla morte dal timore di sentirsi un peso: “Hanno paura che quando il sistema sanitario nazionale sarà in crisi ci sarà un’ulteriore pressione sulle persone anziane e fragili portandole a pensare al suicidio”. E non è una chimera. Già ora negli Stati americani come l’Oregon, la California o il Vermont, dove il suicidio assistito è norma, vengono spesso negati i trattamenti ai malti terminali mentre le pratiche eutanasiche sono coperte dalle assicurazioni. E’ poi risaputo che i paesi come l’Olanda e il Belgio, in cui fu ammessa l’eutanasia in casi definiti “estremi” e circoscritti, nel giro di poco tempo sono arrivati a legalizzare l’omicidio dei malati mentali, depressi e bambini. In sostanza di tutta la vita debole.

Ma a farne le spese non sono soli i fragili, gli innocenti e i malati. Perché questa visione, amplificata anziché combattuta dal diritto, bene o male riguarda tutti gli occidentali abituati ad essere misurati e quindi a misurarsi in base alle prestazioni e a quanto si è in grado di fare o capire. Secondo un antropocentrismo che li vede sempre più frustrati, e quindi depressi, di fronte alla constatazione dell’incapacità a raggiungere con le proprie forze la felicità a cui ogni essere umano aspira. Solo il realismo del limite fa comprendere alla persona che non può compiersi da sé e che per essere felice ha bisogno di qualcuno che la ami a priori e che la salvi dal suo limite  (cosa che storicamente è avvenuta completamente solo con la morte e resurrezione del figlio di Dio). Più le legislazioni si spingeranno verso la negazione di questa evidenza, più aumenterà questo strano odio dell’uomo per se stesso fino a concepirsi come il proprio primo nemico. Come l’ostacolo da distruggere nel tentativo mai appagato di raggiungere la vita beata. Non si tratta dunque di trovare compromessi per addolcire le dichiarazioni anticipate di trattamento, ma di accogliere o respingere una concezione giuridica menzognera e quindi pericolosa per tutti.

Dalla “Bussola quotidiana 26-1-2017” di Benedetta Frigerio

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