Dicembre, meditazioni

30 Dicembre 2018

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (C)

30 Dicembre 2018

Dal primo libro di Samuèle (1,20-22.24-28) – Samuèle per tutti i giorni della sua vita è richiesto per il Signore: Anna dà lode a Dio offrendo il frutto del suo grembo: solo chi sa riconoscere che tutto è dono sa donare tutto.

Dal Salmo 83 (84) – Beato chi abita nella tua casa, Signore: Beato chi abita la tua casa. «Quanto sarà grande quella felicità in cui non vi sarà più nessun male, non mancherà nessun bene e si loderà Dio che sarà tutto in tutti! Io non so infatti che altro si possa fare in quel soggiorno dove non ci sarà pigrizia né lavoro per indigenza. Me lo dice anche il sacro cantico dove leggo: Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore! Tutte le membra, tutti gli organi interiori del corpo incorruttibile, che ora sono impegnati nelle diverse funzioni imposte dalla necessità, concorreranno a lodare Dio, perché allora non ci sarà più nessuna necessità ma una felicità piena, varia, sicura ed eterna» (Sant’Agostino).

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo (3,1-2.21-24) – Siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!: Come Samuèle, anche noi, figli di Dio, siamo offerti e consacrati alla santissima Trinità: immersi nelle acque del battesimo, contrassegnati dal sigillo dell’amore, veniamo inabitati dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo.

Dal Vangelo secondo Luca (2,41-52) – Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri: L’episodio del ritrovamento di Gesù nel tempio, «seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava», chiude la serie degli episodi dell’infanzia. Lo stare seduti era la postura preferita dai maestri israeliti. Con questo racconto, Luca intende mostrare la vera identità di Gesù e la sua missione. Il riferimento cronologico, «dopo tre giorni», con molta probabilità è un’allusione simbolica per indicare, secondo l’uso che ne fa lo stesso evangelista (cfr. Lc 9,22; 13,32; 18,33; 24,7), i tre giorni passati da Gesù nel sepolcro. Con la risposta, «devo occuparmi delle cose del Padre mio», in presenza di Giuseppe, Gesù afferma di avere Dio per Padre (cfr. Lc 10,22; 22,29; Gv 20,17) e rivendica nei suoi riguardi rapporti che oltrepassano quelli della famiglia umana (cfr. Gv 2,4). È la prima manifestazione della sua coscienza di essere «il Figlio» (cfr. Mt 4,3).

DAL VANGELO SECONDO LUCA

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Approfondimento

Gesù e la famiglia – B. L. (Famiglia in Schede Bibliche Pastorali – EDB): Gesù radicato nella famiglia: L’assunzione piena dei legami del sangue è espressa ancora una volta col genere letterario della genealogia, che ci mostra il dispiegarsi nel tempo della famiglia. La redazione lucana fa risalire gli antenati di Gesù fino ad Adamo, inserendolo in tal modo nel quadro universale della famiglia umana, di cui Dio assume i ritmi biologici e storici per elevarli a segno del suo piano salvifico (Lc 3,23-38). La redazione di Matteo inserisce Gesù nei vincoli di solidarietà che fanno di Israele una sola famiglia a partire da Abramo, la cui storia converge nella comparsa del Messia (Mt 1,1-17). La famiglia nell’azione e nella parola di Gesù: Nato e vissuto in una famiglia umana, Gesù ne rispetta la struttura e le leggi che le tradizioni del suo popolo avevano formato. Più volte egli deve intervenire in un quadro familiare. Lo vediamo insieme a sua madre e ai discepoli partecipare al momento in cui nasce una nuova famiglia, alle nozze di Cana (Gv 2,1-12). Interviene nella famiglia degli amici, per ristabilire la serenità e la pace compromessa dalla malattia e dalla morte. Così guarisce la suocera di Pietro (Mc 1,29-31) e risuscita l’amico Lazzaro, restituendolo all’affetto delle sorelle Marta e Maria (Gv 11,1-44). Anche altre famiglie vengono a conoscere l’intervento salvifico di Gesù: la figlia di Giairo (Mc 5,35-42) e il figlio della vedova di Naim (Lc 7,11-15) sono riconsegnati alla vita e all’affetto dei loro cari. Ancora, la sua azione non conosce limiti di appartenenza etnico-religiosa: la donna siro-fenicia, per la sua fede, ottiene la guarigione della figlia (Mt 15,21-28). La parola di Gesù è sovente carica di riferimenti al modo di concepire la famiglia tipico del suo popolo. Anzitutto è vivo il rispetto della legge nelle sue esigenze più profonde. Nella polemica coi farisei, richiama il comandamento che impone il rispetto dei genitori, rifacendosi alle origini stesse dell’etica giudaica. In particolare, rinfaccia loro il costume ipocrita di dichiarare «korban», cioè offerta sacra, determinati beni, qualora ciò diventasse solo un pretesto per esonerarsi dal dovere di soccorrere i propri genitori. La lettera e lo spirito del comandamento, riproposti con forza da Gesù, impongono come primario il rispetto di ciò che è dovuto ai genitori, dal quale nessun accorgimento giuridico può dispensare (Mc 7,9-13). Anche nella parola di Gesù emerge la figura del padre, come garante fondamentale della famiglia. Il rispetto e l’obbedienza sincera nei confronti del padre servono a Gesù come parabola sull’atteggiamento del popolo d’Israele nei confronti di Dio (Mt 21,28-31). In molte parabole, il protagonista è il capo della «casa», il paterfamilias. La chiamata ad entrare nel regno è assimilata all’invito che fa un padre che prepara le nozze del figlio (Mt 22,2); la vigilanza nell’attesa del regno ha come riscontro l’atteggiamento del padre che veglia sulle sorti della sua casa (Mt 24,43), e il giudizio escatologico è paragonato ad un padre che trae dal patrimonio familiare cose vecchie e nuove (Mt 13,52). Il rapporto padre-figli sta al centro anche della parabola del figlio prodigo (Lc 15,11-32).

Commento al Vangelo

Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? – L’evangelista Luca ama presentare Giuseppe e Maria fedeli osservanti della Legge del Signore: così ricorda la circoncisione di Gesù (1,21), la presentazione del bambino al tempio e l’offerta dei colombi per la purificazione della madre (1,22). Era anche scritto nella Legge di Mosè: «Tre volte all’anno ogni tuo maschio si presenterà davanti al Signore tuo Dio, nel luogo che Egli avrà scelto» (Dt 16,16). Giuseppe e Maria compivano questo pellegrinaggio ogni anno, così anche quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. All’interno della famiglia c’erano quattro eventi che segnavano il procedere della vita: la nascita, il raggiungimento della maturità, il matrimonio e la morte. Questi eventi erano sottolineati con particolari riti sociali. Quando poi si credeva che Dio fosse coinvolto nel processo della vita, l’evento assumeva anche un carattere religioso. Tali riti sono conosciuti con il nome di riti di passaggio. A 12 anni Gesù, come tutti i ragazzi ebrei, si preparava ad acquistare la condizione di adulto in seno alla comunità religiosa, il viaggio a Gerusalemme rivestiva perciò un significato speciale per il “figlio di Maria” (Mc 6,3). Questo è il primo episodio che ci mostra come Gesù fosse cosciente della sua particolare relazione verso Dio. Si preferiva viaggiare in gruppi, cioè in carovane, per tanti motivi ed uno era costituito dalla pericolosità del viaggio. I viaggiatori temevano soprattutto i banditi e gli animali feroci. Non di rado ci si poteva imbattere in famelici leoni che si aggiravano nelle valli (cfr. Is 30,6). Nel loro pellegrinaggio, Giuseppe e Maria «viaggiavano con i parenti e conoscenti. Ce n’era un numero sufficiente per far sì che non lo vedessero per un’intera giornata, e Maria e Giuseppe erano in rapporto sufficientemente stretto con questi membri della famiglia allargata, tanto da non preoccuparsene» (Ralph Gower). Perché mi cercavate? La risposta di Gesù alla domanda della Madre, espressa anche a nome di Giuseppe, contiene una esplicita rivelazione della sua identità: egli è il Figlio di Dio in modo trascendente. Manifesta, molto chiaramente, la consapevolezza che Gesù aveva di se stesso fin da allora. Nell’Antico Testamento «sono chiamati con il nome e il titolo di “figlio di Dio” tutto il popolo eletto, e, nel suo seno, in modo particolare, il giusto, il re, il messia. Il modo però con cui Gesù all’età di dodici anni denomina Dio suo Padre, e pone tale Padre in distinzione rispetto a colui, che Maria nell’interrogazione aveva chiamato padre secondo la legge, cioè Giuseppe, è un fatto unico. Perciò nella parola di Gesù che chiama Dio suo padre occorre vedere la iniziale rivelazione contenuta in tutta la serie dei testi nei quali Gesù parla di Dio denominandolo sempre “il Padre mio” e distinguendolo sempre dal “Padre vostro”» (Giuseppe Ferraro). Non sapevate che io devo occuparmi… A Maria che parlava dei “doveri filiali” pensando al quinto comandamento (cfr. Es 20,12), Gesù risponde rimandando al primo: il dovere verso Dio (cfr. Es 20,3-6), egli è il figlio obbediente del suo Padre celeste. È da notare anche che in questa risposta risuona il verbo “devo”, che troveremo in altri nove casi, ciò dimostra che la missione di Gesù (cfr. Lc 4,43), e soprattutto la sua passione-resurrezione (cfr. Lc 9,22; 24,26), rientrano nel piano divino della salvezza che egli accetta sovranamente libero. Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Pur non comprendendo non ostacolano la volontà del Figlio: sua Madre, custodendo tutte queste cose nel suo cuore, attende fiduciosa di comprendere per aderire al progetto con generosità e maggiore responsabilità. Imitando Giuseppe e Maria, i genitori cristiani non devono soffocare la volontà di Dio, ma devono formare i figli a rispondervi con grande maturità: «I figli poi, mediante l’educazione, devono essere formati in modo che, giunti alla loro maturità, possano seguire in pieno senso di responsabilità la loro vocazione, compresa quella sacra, e scegliere lo stato di vita; e se sceglieranno lo stato di vita coniugale, possano formare una propria famiglia nelle condizioni morali, sociali ed economiche per loro veramente favorevoli» (GS 52). Questa è la famiglia pensata da Dio: una fucina di apostoli, costruttori di un mondo nuovo nella pace e nella giustizia. Anche nella docilità di Maria nell’accogliere la parola del Figlio, la famiglia cristiana trova un suo tratto peculiare che la contraddistingue da tutti gli altri nuclei familiari e la segna profondamente nel suo cammino e impegno terreno: essa è essenzialmente un nucleo familiare costituito da uomini e donne che accolgono la Parola in un ininterrotto ascolto obbedienziale, ma soprattutto è una famiglia che rivela Gesù. Lo porta nel grembo della sua esperienza quotidiana e lo dona agli uomini perché nei loro cuori venga piantato ed edificato il regno di Dio. Luca dopo aver rilevato l’incapacità di comprendere dei genitori, mostra Gesù, rientrato a Nazaret, che torna a una scrupolosa osservanza della pietà filiale in conformità alla legge. Maria, intanto, continua la sua riflessione nel mistero che si concluderà, come per i discepoli, solo dopo la luce pasquale con il dono dello Spirito Santo (cfr. At 1,14; 2,1ss).

Riflessione

Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui – Questa affermazione di Giovanni tocca il cuore della identità della Chiesa, la quale è chiamata innanzi tutto ad annunciare al mondo la Buona Novella: «Inviata da Dio alle genti per essere “sacramento universale di salvezza”, la Chiesa per le esigenze più profonde della sua cattolicità e obbedendo all’ordine del suo Fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini» (AG 1). La famiglia cristiana si inserisce in questo dinamismo apostolico. Nel Vangelo «non troviamo discorsi sulla famiglia, ma un avvenimento che vale più di ogni parola: Dio ha voluto nascere e crescere in una famiglia umana» (Benedetto XVI). In questo modo la famiglia venne consacrata come la culla della salvezza, da qui deve irradiarsi il Vangelo. Subito dopo la Pentecoste, quando la Chiesa iniziò a muovere i primi passi missionari, la fede si sviluppò e maturò soprattutto nelle famiglie che avevano accolto con gioia il Vangelo. Di appoggio ai missionari cristiani, essa era anche un vero centro di culto e di irradiamento della Parola. Sappiamo dagli Atti degli Apostoli che l’Eucaristia veniva celebrata nelle case dei cristiani. In questo modo, offrendo al Vangelo la possibilità di entrare in ambienti molto uniti da affetti e legami parentali si dava all’annuncio evangelico l’opportunità di diffondersi velocemente, di irradiarsi a macchia d’olio (cfr. At 20,20-21). Anche oggi bisognerebbe suggerire ai credenti che il «primo contributo di una famiglia alla missione della Chiesa non sono prima di tutto grandi opere o grandi progetti, ma il semplice entusiasmo della fede che ci si comunica fra marito e moglie, fra genitori e figli. In molti paesi, come la Russia o la Slovacchia, dove la missione pubblica è stata proibita per decenni, la fede si è comunicata proprio in famiglia, dal padre e dalla madre ai figli. Ancor oggi, in paesi come la Cina, dove è in atto una grande persecuzione e controllo delle attività religiose, la famiglia, questa chiesa domestica, è spesso l’unico ambito di libertà dove i figli possono comprendere, sperimentare e amare Gesù Cristo. La crescita del numero dei cristiani in queste nazioni, mostra quanto importante sia il contributo della famiglia all’evangelizzazione» (Jozef card. Tomko). E bisognerebbe coinvolgere le famiglie cristiane anche in progetti missionari perché sentano la gioia di andare, «almeno per un certo periodo di tempo», «nelle terre di missione ad annunciare il Vangelo servendo l’uomo con l’amore di Gesù Cristo» (FC 54). Una famiglia che non è aperta alla missione è una famiglia spenta, infeconda, incapace di generare speranza e ottimismo nel mondo dove è chiamata a testimoniare la sua fede nella solidarietà e nella carità: «Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato» (1Gv 3,23).

La pagina dei Padri

Gesù fra i dottori del tempio – Origene: Compiuti i dodici anni, Gesù, si ferma a Gerusalemme; i genitori, non sapendo dove fosse, lo cercano con inquietudine, e non lo trovano. “Lo cercano tra i parenti prossimi”, lo cercano tra i compagni di viaggio, lo cercano tra i conoscenti, ma non lo trovano presso tutte queste persone. Gesù è dunque cercato dai genitori, dal padre putativo che lo aveva accompagnato e custodito quando era disceso in Egitto; e tuttavia, pur cercato, non è subito trovato. Non si trova infatti Gesù tra i parenti e gli amici secondo la carne, non sta tra coloro che sono uniti a lui corporalmente. Il mio Gesù non può essere trovato nella folla.
Impara dove lo trovano coloro che lo cercano, in modo che anche tu, cercandolo insieme con Giuseppe e con Maria, lo possa trovare. Nel cercarlo – dice l’evangelista – “lo trovarono nel tempio”. Non lo trovarono in un luogo qualunque, ma «nel tempio», e neppure semplicemente «nel tempio», ma “in mezzo ai dottori che egli ascoltava e interrogava”. Cerca dunque anche tu Gesù «nel tempio» di Dio, cercalo in chiesa, cercalo presso i maestri che stanno nel tempio e non ne escono; se così lo avrai cercato, lo troverai. E inoltre, se qualcuno dice di essere un maestro e non possiede Gesù, egli ha soltanto il nome di maestro, ed è per questo che non si può trovare in lui Gesù, Verbo di Dio e sapienza di Dio. Lo trovano – dice – «in mezzo ai dottori». Come in un altro passo sta scritto a proposito dai profeti, nello stesso senso devi intendere ora le parole «in mezzo ai dottori». Dice l’Apostolo: “Se un altro che è seduto riceve una rivelazione da fare, il primo taccia” (1Cor 14,30). Lo trovano «seduto in mezzo ai dottori», anzi mentre se ne sta non soltanto seduto, ma mentre «li ascolta e li interroga». Anche ora Geù è presente, ci interroga e ci ascolta parlare.

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