meditazioni, Ottobre

26 Ottobre 2018

26 Ottobre 2018 – Venerdì, XXIX del Tempo Ordinario – (Ef 4,1-6; Sal 23[24]; Lc 12,54-59) – I Lettura: Paolo richiama i cristiani all’unità e solennizza questo momento ricordando agli Efesìni il suo stato di prigioniero per Cristo (egli, infatti, si trova prigioniero a Roma mentre scrive la lettera). L’unità della Chiesa è garantita dallo Spirito che fa tendere tutti verso l’unica meta nella pace e nell’armonia. Perché ciò sia possibile è necessario che ogni credente si sforzi di conservare il cuore puro da ogni desiderio disordinato e teso verso la ricerca e la conoscenza di Dio. Vangelo: I tempi messianici inaugurati da Cristo, erano già stati annunciati da secoli dai profeti. Un buon intenditore della Sacra Scrittura avrebbe certamente potuto scorgere nell’operato e nelle parole di Gesù la realizzazione di quelle promesse, come fece, anche se timidamente, Nicodèmo. Le parole pronunciate da Gesù in questo brano sono una pesante accusa contro l’orgoglio di coloro che, proprio per la vicinanza e la conoscenza della Legge e degli scritti profetici, avrebbero dovuto saper dirigere la fede del popolo verso di Lui. La loro difficoltà non sta nell’intelligenza, ma nel cuore che, colmo della presunzione di aver raggiunto la perfezione, rende cieca la mente.

Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’a-spetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Riflessione: «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?». Abbiamo mai chiesto a Dio, nella preghiera, di donarci sapienza per ben conoscere, discernere e capire i tempi in cui viviamo? Eppure quanto tempo della nostra vita impieghiamo a studiare, comprendere, approfondire le cose di questo mondo. Quanti anni trascorsi quasi quotidianamente a scuola, quanto tempo dedicato a qualche arte o a dedicarsi all’approfondimento di un particolare interesse. E non perdiamo occasione per manifestare le nostre conoscenze, facendo intendere di sapere ben capire le cose che ci circondano. Quanto più, dunque, dovremmo comprendere le cose di Dio! Quanto più dovremmo, alla luce del Vangelo, comprendere i tempi che viviamo, individuare i segni che ci attestano l’amore di Dio, approfondire i mezzi attraverso cui donare la nostra testimonianza al mondo, attenzionare le derive pericolose verso cui si muovono nuove e vecchie generazioni. Così si esprimeva il Concilio Vaticano II: «È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro reciproche relazioni» (GS 4). Chiediamoci: stiamo davvero cercando di comprendere Dio che ci parla attraverso la storia e gli eventi, o rimaniamo affezionati alle nostre consolanti private devozioni?

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Sapete valutare… – Gaudium et Spes 1-2.4.10: Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia. Per questo il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini […]. Per svolgere questo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico […]. Immersi in così contrastanti condizioni, moltissimi nostri contemporanei non sono in grado di identificare realmente i valori perenni e di armonizzarli dovutamente con le scoperte recenti. Per questo sentono il peso della inquietudine, tormentati tra la speranza e l’angoscia, mentre si interrogano sull’attuale andamento del mondo. Questo sfida l’uomo, anzi lo costringe a darsi una risposta […]. La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione […]. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.

Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo – Gaudium et Spes 19: Coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l’imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Garanzia della nostra salvezza – “Dobbiamo mantenere ferma e costante la norma della fede e osservare i comandamenti di Dio: credere cioè in Dio, temerlo perché è il Signore, e amarlo perché è nostro Padre. Ora, l’adempimento di queste opere lo si consegue con la fede, come dice Isaia: Se non avete fede, non potrete comprendere [Is 7,9]. La verità ci porta alla fede, perché la fede ha per oggetto cose che esistono veramente: così che noi crediamo in esseri che davvero sono, e proprio perché realmente sono, manteniamo costantemente ferma la nostra convinzione a loro riguardo. Dato poi che la fede è garanzia della nostra salvezza, dobbiamo prenderci gran cura di acquistare una vera intelligenza delle realtà che veramente esistono. Ed è la fede che ce la procura, come ci hanno tramandato gli anziani che furono discepoli degli apostoli. In primo luogo [la fede] ci raccomanda di ricordare che abbiamo ricevuto il battesimo per la remissione dei peccati, nel nome di Dio Padre e nel nome di Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnato, morto e risorto, e nello Spirito Santo di Dio; [di ricordarci] inoltre, che questo battesimo è il sigillo della vita eterna ed è la nostra nuova nascita in Dio, così che ora noi non siamo più figli di uomini mortali, ma figli del Dio eterno; [e di ricordarci] infine, che l’Essere eterno è Dio, che è al di sopra di ogni cosa creata; che tutto è a lui soggetto perché egli ha fatto tutte le cose. Perciò Dio non ha autorità e dominio sopra realtà create da un altro, ma su ciò che viene da lui, e ogni cosa è di Dio; per questo motivo, Dio è onnipotente, e ogni cosa proviene da Dio” (Ireneo di Lione).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Lumen Fidei 47: L’unità della Chiesa, nel tempo e nello spazio, è collegata all’u-nità della fede: «Un solo corpo e un solo spirito […] una sola fede» (Ef 4,4-5). Oggi può sembrare realizzabile un’unione degli uomini in un impegno comune, nel volersi bene, nel condividere una stessa sorte, in una meta comune. Ma ci risulta molto difficile concepire un’unità nella stessa verità. Ci sembra che un’unione del genere si opponga alla libertà del pensiero e all’autonomia del soggetto. L’esperienza dell’amore ci dice invece che proprio nell’amore è possibile avere una visione comune, che in esso impariamo a vedere la realtà con gli occhi dell’altro, e che ciò non ci impoverisce, ma arricchisce il nostro sguardo. L’amore vero, a misura dell’amore divino, esige la verità e nello sguardo comune della verità, che è Gesù Cristo, diventa saldo e profondo. Questa è anche la gioia della fede, l’unità di visione in un solo corpo e in un solo spirito. In questo senso san Leone Magno poteva affermare: «Se la fede non è una, non è fede». Qual è il segreto di questa unità? La fede è “una”, in primo luogo, per l’unità del Dio conosciuto e confessato. Tutti gli articoli di fede si riferiscono a Lui, sono vie per conoscere il suo essere e il suo agire, e per questo possiedono un’unità superiore a qualsiasi altra che possiamo costruire con il nostro pensiero, possiedono l’unità che ci arricchisce, perché si comunica a noi e ci rende “uno”. La fede è una, inoltre, perché si rivolge all’unico Signore, alla vita di Gesù, alla sua storia concreta che condivide con noi. Sant’Ireneo di Lione l’ha chiarito in opposizione agli eretici gnostici. Costoro sostenevano l’esistenza di due tipi di fede, una fede rozza, la fede dei semplici, imperfetta, che si manteneva al livello della carne di Cristo e della contemplazione dei suoi misteri; e un altro tipo di fede più profondo e perfetto, la fede vera riservata a una piccola cerchia di iniziati che si elevava con l’intelletto al di là della carne di Gesù verso i misteri della divinità ignota. Davanti a questa pretesa, che continua ad avere il suo fascino e i suoi seguaci anche ai nostri giorni, sant’Ireneo ribadisce che la fede è una sola, perché passa sempre per il punto concreto dell’In-carnazione, senza superare mai la carne e la storia di Cristo, dal momento che Dio si è voluto rivelare pienamente in essa. È per questo che non c’è differenza nella fede tra “colui che è in grado di parlarne più a lungo” e “colui che ne parla poco”, tra colui che è superiore e chi è meno capace: né il primo può ampliare la fede, né il secondo diminuirla. Infine, la fede è una perché è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito. Nella comunione dell’unico soggetto che è la Chiesa, riceviamo uno sguardo comune. Confessando la stessa fede poggiamo sulla stessa roccia, siamo trasformati dallo stesso Spirito d’amore, irradiamo un’unica luce e abbiamo un unico sguardo per penetrare la realtà.

Santo del giorno: 26 Ottobre – San Cedda, Vescovo: San Cedda, fratello di San Chad, fu per un lungo periodo monaco a Lindisfarne in Inghilterra. Nel 653, con la conversione del re Peada, Cedda fu scelto per evangelizzare gli Angli centrali. Quando alcuni anni dopo anche san Sigeberto II, re dei sassoni orientali, abbracciò il cristianesimo, Cedda fu inviato con un altro compagno nell’odierna contea di Wessex per predicare e battezzare la popolazione locale. Esplorato l’intero territorio oggetto dell’opera missionaria, Cedda volle consultarsi con il suo superiore a Lindisfarne e questi fu così entusiasta che decise di consacrarlo primo vescovo della regione. Più volte Cedda fece ritorno a Lindisfarne e qui il re Etelwald, a conoscenza della sua fama di santità, gli donò un terreno per fondare un monastero nella selva dello Yorkshire. Il santo allora nel 658 vi fondò il monastero di Lastingham, poi anch’esso distrutto dagli invasori. Nel 664 Cedd partecipò al sinodo di Whitby, facendosi mediatore tra le due opposte fazioni, celta e romana, nella disputa sulla data della Pasqua. Ritornato poi a Lastingham, morì il 26 ottobre 644 a causa di un’epidemia” (Av-venire).

Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, crea in noi un cuore generoso e fedele, perché possiamo sempre servirti con lealtà e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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