meditazioni, Ottobre

14 Ottobre 2018 – XXVIII del Tempo Ordinario (B)

Dal libro della Sapienza (7,7-11) – Al confronto della sapienza stimai un nulla la ricchezza: Queste riflessioni hanno come base il racconto di 1Re 3,10: “Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare”. Già ai testi sapienziali era caro esaltare la sapienza al di sopra di tutte le cose più preziose, come l’oro o l’argento. In questo brano, l’autore aggiunge alcuni valori particolarmente apprezzati dai greci, come la salute (cfr. invece Sir 1,18; 30,14-16), la bellezza (cfr. Sal 45,3; Sir 26,16s; 36,22) e la luce del giorno (cfr. Qo 11,7).

Dal Salmo 89 (90) – Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre: Insegnaci a contare i nostri giorni: «Dal momento in cui ciascuno comincia a esistere in questo corpo destinato alla morte, mai in lui avviene che la morte non avanzi. È la sua mutevolezza a fare ciò, in tutto il tempo di questa vita (seppure si deve chiamar vita), cioè che egli avanzi verso la morte. Nessuno vi è che non le sia più vicino dopo un anno, di quanto non lo era un anno prima, e domani più di oggi, e oggi più di ieri, e un attimo dopo più di ora, e ora più di poco prima. Infatti qualsiasi spazio di tempo si vive, lo si toglie alla durata della vita, e ogni giorno diventa sempre meno quel che ce ne resta: perciò il tempo di questa nostra vita non è precisamente altro che una corsa alla morte, e in essa nessuno può fermarsi un istante o rallentare un poco, ma tutti vi vengono sospinti con lo stesso ritmo, vengono pressati con non diversa celerità» (Agostino).

Dalla lettera agli Ebrei (4,12-13) – La parola di Dio discerne i sentimenti e i pensieri del cuore: La parola di Dio trasmessa dai profeti, e poi dal Figlio è viva ed efficace nei credenti (cfr. 1Ts 2,13). È questa parola che giudica (cfr. Gv 12,48; Ap 19,13) i movimenti del cuore e le intenzioni segrete. La parola di Dio va accolta con animo fiducioso e docile perché essa sola può assurgere a regola di vita e luce per il cammino e solo essa dà all’uo-mo sicurezza verso il futuro.

Dal Vangelo secondo Marco (10,17-30; Forma breve: 10,17-27): Vendi quello che hai e seguimi: Il brano evangelico si divide in tre parti: la prima descrive l’incontro di Gesù con un giovane ricco desideroso di ottenere la vita eterna; la seconda riporta una riflessione del Maestro a proposito delle ricchezze; la terza, Gesù, partendo da una domanda di Pietro, rivela i benefici spirituali riservati a quanti intendono seguirlo rinunciando ad ogni cosa, anche ai più naturali affetti familiari. Tre parti che in ogni caso sono unite da un unico tema: il serio pericolo che rappresentano le ricchezze per il possesso dei beni celesti.

Dal Vangelo secondo Marco

[In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».] Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

Approfondimento

La ricchezza – Genericamente la sacra Scrittura, in quanto abbastanza guardinga verso la ricchezza, invita a non attaccare ad essa il cuore «anche se abbonda» (Sal 62,11) perché «l’oro ha corrotto molti e ha fatto deviare il cuore dei re» (Sir 8,2).

Ed è sotto gli occhi di tutti come gli empi, la cui unica preoccupazione è quella di ammassare ricchezze (Sal 73,12), prosperano e forti della loro potenza economica scherniscono, parlano con malizia, minacciano dal-l’alto con prepotenza (Sal 73,8). La bramosia di denaro incattivisce l’uo-mo trascinandolo nel baratro della morte: «Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte; scenderanno a precipizio nel sepolcro, svanirà ogni loro parvenza: gli inferi saranno la loro dimora» (Sal 49,15).

Sfumature negative che si devono addebitare alla convinzione che il desiderio sfrenato della ricchezza non è mai esente dal peccato: «Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro per esso peccherà. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, il loro disastro era davanti a loro. È una trappola per quanti ne sono entusiasti, ogni insensato vi resta preso» (Sir 31,5-7).

La condanna della ricchezza poi è senza appello se diventa una sirena affascinante, se l’uomo poggia tutta la sua vita unicamente sul denaro. Se si fanno catturare da esso gli uomini condividono la stessa sorte delle bestie: «L’uomo nella prosperità non  comprende, è come gli animali che periscono» (Sal 49,13). Se per san Giovanni Crisostomo il denaro e il piacere sono la pietra d’inciampo che fa cadere gli uomini, per la Bibbia l’in-sonnia «per la ricchezza logora il corpo» (Sir 31,1).

Allora, si tratta di stoltezza, di una profonda incapacità nel gestire la potenza del denaro: una incapacità che fa assurgere il denaro a dio-padro-ne che tiranneggia l’uomo in ogni modo.

Ma il peggiore dei mali è l’apostasia. Quando il luccichio della ricchezza riesce a schiavizzare l’uomo lo rende idolatra spingendolo ad apostatare dalla vera fede. Per cui san Paolo può ben dire che l’attaccamento «al denaro è la radice di tutti i mali» in quanto «per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori» (1Tm 6,10).

Ma queste affermazioni, e tante altre, non devono far pensare che la Bibbia condanni tout court la ricchezza. In verità, essa condanna la passione per il denaro che inevitabilmente stravolge il cuore e il destino del-l’uomo. Così, la «ricchezza è buona se è senza peccato» (Sir 13,24) ed è beato «il ricco, che si trova senza macchia e che non corre dietro all’o-ro» (Sir 31,8). E per il suo popolo Dio prepara un avvenire ricolmo di ricchezza e di benessere: farà scorrere verso di esso «come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli» (Is 66,12).

Per il Vangelo se «la vita di un uomo non dipende dai suoi beni» (Lc 12,15), nella parabola dei talenti Gesù premia il servo che sa far fruttare il denaro avuto in consegna e condanna il servo fannullone che restituisce al padrone la stessa somma che aveva ricevuto (Mt 25,14-30). Non è peccato, dunque, investire il proprio denaro purché il cuore resti libero e non si distolga lo sguardo dal cielo: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore» (Mt 6,19-2).

Per il Nuovo, come per il Vecchio Testamento, a impedire la salvezza non è il possesso della ricchezza, ma è il cuore dell’uomo quando trasforma il denaro in idolo dinanzi al quale prostrarsi (cfr. Mt 6,24; Lc 16,13) perché è stoltezza guadagnare il mondo intero se poi si perde la propria vita (cfr. Mc 8,36). In questa ottica, proprio perché le ricchezze costituiscono un potenziale pericolo, il consiglio di disfarsi dei propri beni e di praticare l’elemosina rimane in cima ai valori evangelici: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33-34)

Commento al Vangelo

Il giovane notabile ricco – Per Luca il “tale” che si accosta a Gesù è un notabile, quindi una persona non soltanto facoltosa, ma anche importante (cfr. Lc 18,18). Mentre Marco tace sull’età del ricco possidente, Matteo lo presenta come un “giovane” (cfr. Mt 19,20.22). Agiato, molto ricco, osservante della Legge, cresciuto in un ambiente familiare molto religioso, certamente doveva essere, al di là dell’età, una persona matura. Nutre sinceri propositi di perfezione e dimostra buone intenzioni per realizzarli. Lo suggerisce la fretta con la quale va incontro a Gesù e il suo gettarsi in ginocchio davanti al giovane Rabbi di Nazaret: un gesto con il quale il “tale” dimostra di essere più attaccato al desiderio di verità che al suo stato sociale.

A sentirsi chiamare ‘Maestro buono’, Gesù sembra reagire bruscamente rispondendo che solo Dio è buono. Con questa risposta Gesù non nega la sua divinità. Affatto, perché la conferma. Per san Seda significa che «la stessa unica e indivisibile Trinità… è il solo unico Dio buono. Il Signore dunque non nega di essere buono, ma afferma di essere Dio; non dichiara di non essere il buon Maestro, ma testimonia che al di fuori di Dio nessun maestro è buono».

La domanda posta dal giovane ricco riflette la mentalità farisaica, per la quale l’unica via di salvezza era l’obbedienza alla Legge di Mosè e alle tante, infinite prescrizioni legali, liturgiche, morali, direttamente o indirettamente, legate alla Legge. Il “tale” forse temeva di mancare in qualche prescrizione. L’uomo è schietto, ma ha una mentalità legalista che lo tiene inevitabilmente lontano dalla fede. È deciso a tutto pur di tranquillizzare la sua coscienza, però, confrontandosi con il ‘Maestro buono’, non sa di giuocare su un campo minato.

La risposta di Gesù può sembrare ovvia, ma in verità vuol far uscire allo scoperto l’anonimo interlocutore. Il giovane nel rispondere è indubbiamente sincero, perché «se fosse stato colpevole del reato di menzogna o di simulazione, certamente non si sarebbe detto di lui che Gesù lo amava dopo averlo guardato nell’intimo del cuore» (San Beda).

Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò… Marco ama soffermarsi sullo sguardo di Gesù (cfr. 3,5.34; 5,32; 10,23; 11,11).

Gesù «guarda con simpatia e compiacenza questo uomo retto e pio. Lo denotano le espressioni “fissando lo sguardo” [emblepsas, quasi un “gu-ardare dentro”] e “lo amò” [egàpesen, che può significare “lo baciò”]. Marco non esita a sottolineare i sentimenti umani di Gesù, nonostante l’esito negativo del suo invito alla sequela rivolto al ricco» (A. Poppi).

Gesù, ottenuta la risposta che aveva sollecitato, indica al giovane quello che gli manca per raggiungere la vita eterna: la sequela cristiana; perché solo in essa può trovare quello che cerca. E pone una condizione: abbandonare tutte le ricchezze.

È facile sentirsi a posto perché si osservano i comandamenti di Dio. Ma questo modo di ragionare apre l’uomo all’autosufficienza, alla tentazione di catturare Dio, di imporgli delle regole di comportamento: significa voler costringere Dio ad essere buono e munifico per il solo fatto che si osserva la Legge. Un’osservanza formale, senza mettere amore nei giudizi, carità nelle parole, misericordia nelle relazioni (cfr. Mt 9,13). E il peccato originale dei farisei. Ragionando così il giovane notabile ricco sbaglia di molto.

Gesù ha voluto fare capire al suo interlocutore che «non basta evitare il male, come comanda il decalogo, ma bisogna fare il bene» (A. Poppi).

Gesù non impone l’indigenza, ma l’abbandono fiducioso all’agire di Dio. La proposta addolora il giovane che sconcertato lascia il campo rattristato perché spudoratamente attaccato ai suoi beni. Ma rimangono sconcertati anche i discepoli. Perché ragionavano come tutti gli altri e anche per loro la ricchezza era una benedizione di Dio. Più si era buoni, più si era giusti, più si osservava la Legge e più Dio moltiplicava la ricchezza in figli, campi, servi, bestiame, denaro… e restano ancora più sbigottiti quando le loro orecchie sentono che è «più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».

In ebraico il termine ricchezza ha la stessa radice del termine fede che significa appoggiarsi, dare fiducia. Quindi, Gesù ha spostato il problema su un piano diverso: il dilemma della scelta del giovane non è fra ricchezza e povertà, ma fra ricchezza e Cristo stesso. La sacra Scrittura non condanna la ricchezza in se stessa, ma i ricchi disonesti (cfr. Lc 6,24), né tanto meno considera la povertà di mezzi economici un bene in sé. Il vero problema sta nel fatto che la ricchezza, quando diventa un fine, quando diventa “un appoggio”, si sostituisce a Dio facendo precipitare l’uomo nell’idolatria. La contrapposizione fra Dio e il denaro è quindi sul piano religioso e non sociale! È sul piano religioso in quanto si giunge a credere che la felicità derivi dal possesso delle cose e quindi dalle cose stesse. Il regno di Dio non si conquista assommando la Legge al conto corrente, ma seguendo risolutamente Gesù povero, casto, umiliato e obbediente alla volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr. Fil 2,8).

Pietro torna sul discorso. Vuole essere assicurato sulla ricompensa. Ha lasciato tutto e adesso vuole sapere cosa gli toccherà come compenso.

Gesù rispondendo – In verità vi dico – si impegna solennemente nelle sue promesse. La ricompensa, solo per coloro che lasciano tutto per il Vangelo, è già donata al presente. Quindi, il centuplo promesso non è solo per la vita futura. È già per adesso. La nuova famiglia è la Chiesa dove i discepoli del Cristo si trovano uniti da un mutuo aiuto e dalla carità. A questi beni si assommano le persecuzioni.

Non verranno mai meno i beni e non cesseranno le ostilità: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Soltanto nel futuro sarà donata la vita eterna. È solo a questo punto che Gesù risponde al giovane ricco. È il percorso tracciato per ogni discepolo che vuole avere la vita eterna. Altre strade, o peggio ancora scorciatoie, non esistono. Ancora una volta nel messaggio evangelico si impone la radicalità.

Riflessione

Una cosa sola ti manca… – I soliti mercanti della Parola (cfr. 2Cor 2,17) liquidano queste parole di Gesù come consigli, insegnando in questo modo che sono rivolti unicamente a coloro che desiderano la perfezione (cfr. Mt 19,21) e quindi Gesù sta interloquendo inequivocabilmente con i preti, con i religiosi e con le monache, o con qualche laico che certamente è andato fuori di testa.

Per tali mercanti basta non fare, non ammazzare, non rubare…, per sentirsi a posto. Forse non riflettono che la «distinzione tra “precetti” e “consigli” è estranea al vangelo. La chiamata divina rappresenta un appello decisivo per ogni uomo e avviene secondo modalità diverse. Ognuno per salvarsi deve corrispondere alla propria vocazione con il massimo impegno, rinunziando ai progetti personali, agli interessi mondani e persino alla propria vita se è necessario» (Angelico Poppi).

Seguire Gesù è, nello stesso tempo, dono e impegno. La sequela cristiana è comunione di vita con il Maestro che si traduce nell’imitazione e nella partecipazione alla sua vita nell’umiliazione e nell’esaltazione (cfr. Eb 12,2ss): un lento, vitale processo di assimilazione a Cristo, capo della Chiesa (cfr. Ef 5,23; Col 1,18).

I credenti, membra del Corpo di Cristo, «devono essere assimilati a lui, fino a quando in essi sia formato Cristo [cfr. Gal 4,19]. Per questo noi veniamo assunti entro i misteri della sua vita e configurati a lui, moriamo e risuscitiamo insieme con lui, in attesa di regnare con lui [cfr. Fil 3,21; 2Tm 2,11; Ef 2,6; Col 2,12; ecc.]. Mentre ancora pellegrinanti in terra seguiamo le sue orme nella tribolazione e nella persecuzione, veniamo associati alle sofferenze del nostro capo, e ne condividiamo la passione, per condividerne anche la gloria» (LG 7).

Ma il racconto evangelico mette in evidenza anche una drammatica possibilità: come l’uomo può accogliere la chiamata di Dio, così può respingerla. Se l’uomo ha accettato, non monti però in superbia: egli può mantenere la chiamata di Dio unicamente perché Dio è fedele: infatti, «non può rinnegare se stesso» (2Tm 2,13) e «i suoi doni e la sua chiamata sono irrevocabili» (Rm 11,29).

La pagina dei Padri

L’insegnamento della Legge – Ireneo di Lione: La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: “Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”. Quegli chiese: “Quali?”, e il Signore soggiunse: “Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,17ss). Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti.

Il giovane rispose: “Ho fatto tutto ciò” – e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi” (ib.). Con queste parole prometteva l’eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall’inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all’inizio, a liberarsi dall’antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zacchèo dicendo: “Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli  rendo il quadruplo” (Lc 19,8).

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