meditazioni, Ottobre

8 Ottobre 2018

8 Ottobre 2018 – Lunedì, XXVII del Tempo Ordinario – (Gal 1,6-12; Sal 110[111]; Lc 10,25-37) – I Lettura: Indirizzata a più chiese della Galazia, la lettera ai Gàlati è una lettera circolare di autentica mano paolina. I Gàlati, generati alla fede da Paolo, grazie all’Evangelo da lui annunciato e liberamente accolto, si erano fatti battezzare diventando cristiani. Ma, dopo non molto tempo, stavano per allontanarsi dal Vangelo ricevuto, contestando la stessa autorità apostolica di Paolo a causa di alcuni predicatori itineranti, giudeo-cristiani di estrazione farisaico-zelota, non scevri da influssi gnostici.

Vangelo: “E chi è il mio prossimo?”. Gesù non dà una risposta teorica, ma racconta un fatto: dopo che è stato presentato l’atteggiamento di indifferenza da parte del sacerdote e del levìta nei confronti dell’uomo gravemente ferito, ecco il gesto d’amore compiuto dal Samaritano, cioè uno straniero, un eretico per i Giudei. L’esempio del Samaritano sottolinea il legame stretto fra l’amore di Dio e quello del prossimo: il culto separato da questo amore invece è sterile e inutile. Chi è mio prossimo? – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». Riflessione: «E chi è mio prossimo?». Il Dottore della Legge conosceva bene i testi sacri, tutto ciò che Dio aveva comandato per mezzo di Mosè e dei profeti, cosa era giusto fare e cosa bisognava evitare… Ed ecco perché alla domanda di Gesù, subito risponde, e risponde bene, affermando ciò che bisogna fare per ereditare la vita eterna: amare Dio e amare il prossimo. Sull’amore per Dio diciamo che aveva pochi dubbi: Dio è bontà, amore, misericordia… ed è facile contraccambiare chi ci ama, anzi abbiamo sempre più a dover crescere per cercare di essere quanto più grati e generosi verso colui che è ricco di misericordia (cfr. Ef 2,4) e non si lascia vincere in generosità. Ma amare il prossimo? Amarlo addirittura come me stesso? Dipende! Siamo certi che lo merita? Il prossimo non è Dio ma un uomo, e potrebbe essere anche il peggiore tra gli uomini! Dovrei cercare di amarlo? Dovrei amarlo addirittura come me stesso? Chissà quante di queste domande passarono in quell’istante nella mente del Dottore della Legge: “sì, è scritto che devo amare, e io voglio amare: voglio amare il prossimo. Ma devo avere la certezza di amare quello giusto”. Ed ecco che, quasi balbettando per timore di una risposta troppo impegnativa (in fondo fino a quel momento aveva risposto bene, ricevendo perfino i pubblici complimenti del Maestro!) chiede chi davvero debba considerarsi nostro “prossimo”. Con la parabola del “buon Samaritano” Gesù fuga ogni dubbio: il mio prossimo, colui che devo amare come me stesso, colui che devo accogliere e curare come me stesso, colui a cui devo dedicarmi con la stessa attenzione che rivolgo a me stesso… è chiunque abbia bisogno, anche se straniero, anche se non me lo chiede, anche se non lo conosco, anche se mi costa aiutarlo. E al buon Samaritano costa aiutare quel malcapitato: gli costa tempo (interrompendo il cammino intrapreso, gli affari e ogni altra cosa); gli costa fatica (caricando da solo quell’uomo sul proprio cavallo); gli costa denaro (mettendo mano al portafoglio con generosità e non dando limiti all’albergatore). Gli dona attenzione, gli offre il proprio olio e vino per le ferite, certamente lo riempie di affetto e di cure. E noi, abbiamo ancora dubbi su chi sia il nostro prossimo? La

Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: La parabola del buon samaritano – Salvifici Doloris 28: La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito «passare oltre» con indifferenza, ma dobbiamo «fermarci» accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità. Questa è come l’aprirsi di una certa interiore disposizione del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, l’uomo che «si commuove» per la disgrazia del prossimo. Se Cristo, conoscitore dell’interno dell’uomo, sottolinea questa commozione, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore, che testimonia la compassione verso un sofferente. A volte questa compassione rimane l’unica o principale espressione del nostro amore e della nostra soli- darietà con l’uomo sofferente. Tuttavia, il buon Samaritano della parabola di Cristo non si ferma alla sola commozione e compassione. Queste diventano per lui uno stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all’uomo ferito. Buon Samaritano è, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio «io», aprendo quest’«io» all’altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l’antropologia cristiana. L’uomo non può «ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé».

Buon Samaritano è l’uomo capace appunto di tale dono di sé. Va’ e anche tu fa’ così – Benedetto XVI (Messaggio, 2 Gennaio 2013): La parabola evangelica narrata da san Luca si inserisce in una serie di immagini e racconti tratti dalla vita quotidiana, con cui Gesù vuole far comprendere l’amore profondo di Dio verso ogni essere umano, specialmente quando si trova nella malattia e nel dolore. Ma, allo stesso tempo, con le parole conclusive della parabola del Buon Samaritano, «Va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37), il Signore indica qual è l’atteggiamento che deve avere ogni suo discepolo verso gli altri, particolarmente se bisognosi di cura. Si tratta quindi di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede: «Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore» (Spe Salvi 37).

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Il prossimo è ogni uomo – “Dimmi ora, o dottore della Legge, senza guardarmi con i tuoi occhi cattivi e indagatori, chi è per te il prossimo? Non deve essere forse chi è diventato tale per il semplice fatto che era nel bisogno? Tu credi spesso, nella tua ignoranza, che tuo prossimo sia semplicemente chi professa la tua religione o un tuo connazionale. Ma io dico e sostengo che prossimo è ogni uomo, ogni essere che partecipa della natura umana. Come vedi, ci alza anche il capo per il fatto di essere sacerdote, e colui che si vanta di essere levìta e svolge le sacre funzioni del servizio sacerdotale secondo la Legge, ambedue – come te – dicono con orgoglio di conoscere i comandamenti divini. Eppure, a loro non viene nemmeno in mente il pensiero che il loro fratello abbandonato in terra nudo, coperto di ferite e morente, è un uomo della loro stessa nazione. Lo disprezzano come un sasso, come un pezzo di legno gettato via. Ma il Samaritano riconosce la natura umana e comprende chi è il prossimo, anche se ignora i comandamenti e voi lo ritenete uno zotico… Così, dunque, colui che voi considerate troppo lontano, eccolo vicino a chi ha bisogno di cure” (Severo di Antiochia).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Gesù nel raccontare la parabola, di proposito, opera uno spostamento di accento, dall’oggetto al soggetto. Mentre il dottore della Legge aveva chiesto chi doveva essere oggetto del suo amore, Gesù fa vedere il soggetto, chi è colui che ama veramente; al dottore della Legge che chiedeva chi fosse il prossimo da amare, Gesù gli insegna come lui avrebbe dovuto diventare prossimo. Praticamente, Gesù chiede al dottore della legge di rientrare in se stesso e di verificare in che modo egli si pone nei confronti degli altri, quali relazioni costruisce con gli altri. Al termine della parabola, il saccente custode della Legge scopre il senso dell’insegnamento di Gesù: come il Samaritano deve avere il coraggio di farsi prossimo di chi nell’immediato ha bisogno del suo aiuto senza stare a sofisticare in questioni di lana caprina. Una bella lezione per chi era abituato a «filtrare il moscerino» (Mt 23,24). Non va poi dimenticato il senso cristologico della parabola: il buon Samaritano è Gesù che nell’amare l’umanità rivela e realizza l’infinito amore del Padre per tutti gli uomini. In questa ottica l’amore verso il prossimo, che con la parabola viene comandato a tutti i discepoli, deve essere interpretato come continuazione dell’amore di Gesù, come insegnano le sue stesse parole: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 15,34).

Santo del giorno: 8 Ottobre – Sant’Ugo Canefri da Genova, Religioso dell’Ordine di Malta: “Cappellano dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme “i Cavalieri di Malta”, Ugo visse tra il XII e il XIII secolo e resse il complesso di San Giovanni di Pré, conosciuto come la Commenda di San Giovanni di Pré, a Genova, proprio davanti al porto. Qui sorge tuttora la chiesa di San Giovanni di Prè, dove Ugo venne sepolto intorno al 1230. La chiesa inferiore dell’antico e importante edificio sacro è a lui dedicata. Di spirito umile, Ugo compì diversi miracoli legati all’acqua. Due di essi simili addirittura a quelli compiuti da Mosè e Gesù: fece scaturire infatti l’acqua da una roccia (per consentire alle lavandaie di un ospedale di lavare la biancheria dei malati) e tramutò il liquido in vino. E in un’occasione salvò una nave in pericolo al largo della città ligure” (Avvenire).

Preghiamo: O Dio, fonte di ogni bene, che esaudisci le preghiere del tuo popolo al di là di ogni desiderio e di ogni merito, effondi su di noi la tua misericordia: perdona ciò che la coscienza teme e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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