Liturgia, settembre

30 Settembre 2018 – XXVI del Tempo Ordinario (B)

Dal libro dei Numeri (11,25-29) – Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo!: Ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce (Gc 1,17): «il dono dei miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue» (1Cor 12,28). La disputa di Giosuè denuncia la gretta mentalità di tutti coloro, come l’apostolo Giovanni, che pretendono di ingabbiare lo Spirito Santo o di possedere in esclusiva il potere carismatico del Cristo.

Dal Salmo 18 (19) – I precetti del Signore fanno gioire il cuore: Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie: «Dio si fa guida a chi lo segue. Altrimenti non sarebbe possibile, per chi non conosce la strada, giungere alla meta con sicurezza. Questi deve camminare dietro a colui che guida. Mosè, desideroso di vedere Dio, impara come è possibile vedere Dio: seguire Dio ovunque ci porti, questo è vedere Dio» (Gregario Nisseno).

Dalla lettera di san Giacomo apostolo (5,1-6) – Le vostre ricchezze sono marce: L’invettiva di Giacomo mette in risalto quanto fossero odiati i ricchi, ma in modo particolare coloro la cui ricchezza trasudava del sangue dei poveri. La condanna dei ricchi malvagi era già presente nella predicazione dei profeti. La ritroviamo nella predicazione apostolica: «Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (1Tm 6,17). Un consiglio che conserva sempre il suo grande valore morale e ascetico.

Dal Vangelo secondo Marco (9,38-43.45.47-48) – Chi non è contro di noi è per noi. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: L’apostolo Giovanni nel pretendere l’esclusivo potere di cacciare i demòni si rivela settario, molto lontano da una mentalità di servizio. La comunità cristiana, «deve essere aperta a tutti, anche quanti sono al di là della cerchia visibile dei suoi, e deve saper distinguere: un conto è essere pro o contro il Maestro [Mt 12,30], un conto è non appartenere esplicitamente ai suoi discepoli» (F. Lambiasi).

Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

Approfondimento

Lo scandalo – E.  Chini (Scandalo, Schede Bibliche, EDB): 1. Lo scandalo per Israele. Il termine skàndalon eredita dall’ebraico una grande ricchez-za di significati; esso deriva da skandàlètron e traduce nei LXX due diverse radici ebraiche: jqs (nqs), che significa prendere in trappola (Sal 124), e ksl che significa inciampare, vacillare (Is 8,15), da cui deriva il sostantivo mik’ sòl, occasione di caduta, ostacolo (Lv 19,14; Is 57), usato anche in senso metaforico (1Sam 25,31; Ez 3,20).

Si è detto che skàndalon, da causa di rovina materiale, passa progressivamente indicare rovina in senso religioso, quindi caduta e peccato.

Lo scandalo per Israele si configura come attentato all’alleanza, rifiuto del rapporto d’amicizia che Dio ha stabilito con l’uomo mediante essa. In questo senso possono costituire una seduzione, un laccio per Israele i popoli abitanti la terra promessa (Es 23,33; 34,12), se lahvé non li caccia davanti al suo popolo (Gs 23,13). Causa ricorrente di scandalo, cioè di occasione di peccato, è infatti l’idolatria delle nazioni vicine al popolo eletto (Dt 7,16). Gli idoli stessi sono detti scandalo (Os 4,17; Gdt 8,27). Ma anche lahvé può porsi come pietra d’inciampo per il suo popolo prevaricatore (Is 8,14), e costituire per esso, per la sua salvezza, un momentaneo ostacolo (Ger 6,21). Israele deve scegliere tra l’economia di Dio e quella umana: scegliere quest’ultima è incorrere nella ribellione, che rende Dio causa di rovina per i suoi figli.

Anche il singolo israelita può essere «scandalo» per il popolo eletto, se tenta di strapparlo al rapporto dell’alleanza e quindi dal seguito di lahvé. Dio punisce chi tenta di indurre Israele alla perversione (1Re 14,16). Elìa predice ad Acab la sua tragica fine solo perché ha provocato lo sdegno di Iahvé, ma anche perché ha fatto peccare Israele (1Re 21,22).

Lo scandalo ha un aspetto individuale e un aspetto sociale. Esso è legato all’empietà; per l’empio infatti tutto può essere occasione di caduta e motivo di scandalo: non solo la lingua (Sir 23,28), ma anche la legge (Sir 32.15). Dio solo può far scomparire lo scandalo (Sof 1,3).

  1. Potenza demoniaca dello scandalo nel NT. Come nell’Antico Testamento, anche nel NT lo scandalo è definito in rapporto a Dio.

Nel Nuovo Testamento skàndalon e skandalìzon hanno la stessa pregnanza di significato che nell’Antico Testamento e nel giudaismo, ma subiscono l’influenza del clima nuovo portato da Cristo. Gesù, la più assoluta sfida alla fede, richiama lo scandalo, ostacolo alla fede.

Nei sinottici i due significati principali di skàndalon hanno per centro Satana (il male) o Gesù (la fede). Un gruppo di testi è centrato sul male. È Matteo l’evangelista che mette in luce l’aspetto demoniaco dello scandalo. L’opera di Gesù, l’unto di Spirito santo che si oppone a Satana (Mc 3,22.29), segna la sconfitta del principe delle tenebre; le espulsioni dei demòni lo manifestano.

Con immagini dell’apocalittica giudaica, Matteo evoca il dramma escatologico. Mt 13,41 cita Sof 1,3: gli scandali si riferiscono non solo agli uomini che con il loro esempio causano la rovina di altri, ma alle forze demoniache che lavorano alla corruzione dell’umanità. Esse raggiungono negli ultimi tempi il massimo di potenza nefasta. La vittoria definitiva sarà però dei figli dell’uomo.

Mt 24,10 richiama Dn 11,41 : lo scandalo è qui la grande apostasia operata dalle potenze sataniche che hanno il compito di seminare il male nel mondo. Per il loro influsso molti si vendono a Satana e lo riconoscono per il Dio dell’universo.

Questi testi mostrano, già in luce escatologica, la grandezza del seduttore che distrugge la fede e induce alla caduta. Anche Mt 18,7 va letto in prospettiva apocalittica; il testo non riguarda una semplice tentazione, ma mostra lo spaventoso pericolo dello scandalo che precede la venuta del messia e che esclude dalla salvezza. Ma anche gli scandali stanno sotto la necessità divina (anànk) e fanno parte del disegno di Dio, anzi, annunciano presente il suo venire, costringono alla scelta decisiva per o contro Dio. Pietro, che ha ricevuto autorità sulle potenze infernali (Mt 16,16-19) diviene, a sua insaputa, un loro strumento. Lo scandalo si rivela come contrasto tra l’uomo e Dio, e se ne ricupera qui il senso anticotestamentario: gli idoli erano abominevoli per Iahvé; allo stesso modo è esecrabile lo scandalo. La decisione per o contro Dio passa per un punto solo, la croce; Pietro diviene scandalo per Gesù perché misconosce la via della croce. L’abbandono, da parte di Gesù, del piano di salvezza voluto dal Padre, comporterebbe l’abbandono del mondo alle forze demoniache. La proposta di Pietro è satanica (Mt 16,21-23). Allo stesso modo i pastori possono divenire motivo di scandalo per il gregge quando la prudenza umana impedisce in essi l’ascolto dello Spirito (Gv 10.11 ss).

Commento al Vangelo

Chi non è contro di noi, è per noi – I Vangeli, in molte occasioni, non temono di mettere in evidenza i limiti caratteriali e le povertà intellettuali e spirituali degli Apostoli. Così, la richiesta da parte del discepolo che «Gesù amava» (Gv 19,26; 20,2: 21,7) di mettere a regime lo Spirito Santo denuncia apertamente una mentalità gretta, tribale, non plasmata ancora dallo Spirito.

Giovanni è l’apostolo che aveva chiesto a Gesù, per sé e per suo fratello Giacomo, i primi posti nel Regno celeste (cfr. Mc 10,35-40). E sempre loro due chiederanno a Gesù di incenerire i Samaritani il cui unico torto era stato quello di non aver voluto accogliere il Maestro (cfr. Lc 9,54). Tutto questo, oltre a far capire con quale pasta Gesù costruì la sua Chiesa, al dire di molti autori, è un’ulteriore prova della veridicità dei racconti evangelici.

Quella di Giovanni, in pratica, è la richiesta di ottenere il monopolio della potenza del nome di Gesù. La risposta del Maestro sgombra il campo da ogni dubbio: di questa potenza i discepoli non sono i padroni; essa è data da Dio e solo Dio ne dispone i tempi e i modi e l’avvenuto miracolo attesta che chi l’ha operato ha agito con corretta intenzione; «non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me».

In Israele gli esorcisti occupavano un posto molto importante in quanto a satana veniva addebitata ogni sorta di sciagure: l’uomo sedotto da satana, scivolando nel peccato, andava incontro ad ogni tipo di sofferenze, disgrazie e anche malattie fisiche, che palesavano in questo modo il giusto castigo di Dio. Gesù generalmente non contraddice questo modo di pensare, ma in qualche caso esclude una relazione diretta e precisa tra colpa e malattia (cfr. Lc 13,2; Gv 5,14; 9,3).

La replica di Gesù – Chi non è contro di noi è per noi – è una lezione di alto tono magistrale: dinanzi a Dio e di fronte al bene assoluto della salvezza, non vi sono distinzioni tra uomo e uomo, tra «tu sei dei nostri» e «tu non lo sei». L’unica distinzione che il Vangelo fa è riportata nel capitolo 25mo di Matteo (vv. 31-45): avevo fame, avevo sete, ero ammalato, forestiero, nudo, malato e non mi avete accolto e non mi avete assistito; oppure non mi avete ospitato, non mi avete accudito. Solo su questa distinzione verterà il giudizio di Dio.

I piccoli non sono tanto i bambini, ma i credenti dalla fede vacillante, i cristiani deboli esposti allo scandalo. I credenti, al dire di sant’Alberto Magno, qui sono «detti piccoli per la loro fede limitata e perché possono essere facilmente scandalizzati, sono cioè deboli nella fede e pronti al peccato, provocati anche dai cattivi esempi dei sacerdoti». E Gesù su questo punto non ammette deroghe. Il giudizio è severissimo, un giudizio espresso con parole di fuoco. Qui viene sfumata l’immagine edulcorata del Gesù buono a tutti i costi, pronto a perdonare tutto a tutti.

Da qui l’urgenza a recidere, con profonda determinazione, tutto quello che può provocare scandalo a se stessi e ai fratelli. I moniti di Gesù certamente non vanno presi alla lettera. Avremmo un paese zeppo di ciechi e di sciancati. In verità, è l’urgenza della conversione per entrare nel Regno di Dio. La porta per entrare nel Regno è stretta (cfr. Mt 7,13-14) per cui per entrarvi non è necessario umiliarsi, ma semplicemente scorticarsi. La salvezza non è un gioco da ragazzi, non è da prendere sotto gamba; e invece qualcosa di molto serio.

Per il Vangelo la vita terrena, nel suo naturale finire, si apre soltanto a due soluzioni: o il Regno, cioè l’eterna beatitudine; o la Geenna, l’Inferno «ove sarà pianto e stridore di denti» (Mt 8,12), cioè l’eterna dannazione (cfr. Mt 18,18; 25,41; Gd 1,7).

La sibillina espressione – il loro verme non muore e il fuoco non si estingue – è presa di peso dal libro del profeta Isaìa (cfr. 66,24) dove il verme è simbolo del rimorso. Acutamente fa osservare san Giovanni Crisostomo che qui la coscienza viene chiamata verme che «morde l’anima che non opera il bene». Quindi ognuno «diviene accusatore di se stesso al ricordo di come si è comportato nell’esistenza mortale, e così il verme non muore» (Catena Aurea).

Ricordata in altri testi veterotestamentari (cfr. Sir 7,17; Gdt 16,17), l’e-spressione sta ad indicare il giusto castigo dell’empio. Gesù se ne serve «per descrivere metaforicamente le pene dei dannati, che saranno tormentati senza possibilità di riscatto. Strettamente non sembra che vi sia inclusa anche l’idea di eternità. Ma tenendo conto di tutto l’insegna-mento del Nuovo Testamento al riguardo, non sembra che si possa escludere» (A. Sisti).

Viene così sottolineato il destino ultimo dell’uomo: alla fine della vita, o aprire gli occhi sul volto di Dio (cfr. 1Cor 13,12), o perdersi eternamente. L’uomo consapevolmente può andare incontro a una dannazione intrisa di indicibili patimenti (la pena del senso) e tra questi il dolore inenarrabile della perdita di Dio (la pena del danno). Il non contemplare Dio, il non vedere il suo volto, questa è la pena indicibile che accompagnerà eternamente il dannato.

Comunque, la replica di Gesù non va presa come una minaccia, ma come «una luce che mi indica la via, e io devo giungere a comprendere e accogliere la sua volontà: “Sì, Signore, se per arrivare a Te mi chiedi di entrare nella vita monco… zoppo… con un occhio solo, mi troverai pronto”. Questa è la vita cristiana radicata nella serietà purissima della Croce» (Giuseppe Pollano).

Riflessione

Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me… – II Catechismo della Chiesa Cattolica può aiutarci a comprendere le parole di Gesù. Innanzi tutto, dà una definizione: «Lo scandalo è l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza si fa tentatore del suo prossimo. Attenta alla virtù e alla rettitudine, può trascinare il proprio fratello alla morte spirituale. Lo scandalo costituisce una colpa grave se chi lo provoca con azione e omissione induce deliberatamente altri in una grave mancanza» (2284). E ancora, lo scandalo «assume una gravità particolare a motivo dell’autorità di coloro che lo causano o della debolezza di coloro che lo subiscono. Ha ispirato a nostro Signore questa maledizione: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli… sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare” [Mt 18,6]. Lo scandalo è grave quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri. Gesù lo rimprovera agli scribi e ai farisei: li paragona ai lupi rapaci in veste di pecore» (2285).

L’affermazione è chiara e inequivocabile: per il Magistero della Chiesa, le parole di Gesù sono una maledizione! La gravità sta nel fatto che è in giuòco la fede dei piccoli, sta nel fatto che possono essere uccisi spiritualmente. L’uomo, oggi, ha trovato dei sotterfugi per trarsi d’impaccio e per non farsi sbranare dal verme che non muore. I  suoi trucchi sono quelli di trasformare tutto in arte o di propagare vergognose licenziosità come conquiste di civiltà: come per una società sempre più sporca la pornografia è arte, così da essa i matrimoni gay, l’aborto, l’eutanasia, il divorzio vengono spacciati come conquiste… È grottesco, come fa notare V. Raffa: «sbandierare gli ideali di libertà, di arte, di cultura, di civiltà, di liberazione umana, di progresso e così via, quando altro non c’è che profonda depravazione, sollecitudine alla violazione delle leggi più fondamentali, offesa alla religione, sovvertimento della legittima autorità».

Il tutto diventa ancora più disgustoso e più ripugnante quando «il movente reale è l’impinguamento del proprio portafoglio, l’eliminazione disonesta dell’avversario, la destabilizzazione di una dirigenza scomoda, magari pienamente legittima e fattivamente impegnata al bene comune» (V. Raffa).

Ormai siamo abituati a tutto. E poiché «i mali che non si avvertono sono i più pericolosi» (Erasmo da Rotterdam), l’assuefazione è il peggiore dei mali in quanto stordendo la coscienza la induce a promuovere il peccato (cfr. Rm 14,26).

La pagina dei Padri

Essere di Cristo – San Beda il Venerabile: “Giovanni gli rivolse la parola: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i demòni in nome tuo, ma non gliel’abbiamo permesso perché non è dei nostri»” (Mc 9,38).

Giovanni, che amava con straordinario fervore il Signore e perciò era degno di essere riamato, riteneva dovesse essere privato del beneficio chi non ricopriva un ufficio. Ma viene ammaestrato che nessuno dev’es-sere allontanato dal bene che in parte possiede, ma che piuttosto de-v’essere invitato a ciò che non ancora possiede. Continua infatti: “Ma Gesù gli disse: «Non gliel’impedite. Non c’è nessuno infatti che operi miracoli nel mio nome e possa subito dopo parlar male di me. Chi infatti non è contro di voi, è con voi»” (Mc 9,39-40).

Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: “Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!” (Fil 1,18). Ma anche se egli s’allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati: anzi, in quel giorno in cui diranno: “Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non ab-biamo scacciato i demòni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?”, essi riceveranno questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l’iniquità” (Mt 7,22-23).

Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore.

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