meditazioni, settembre

24 Settembre 2018

24 Settembre 2018 – Lunedì, XXV del Tempo Ordinario – (Pro 3,27-34; Sal 14[15]; Lc 8,16-18) – I Lettura: Il libro dei Proverbi (māšāl in ebraico), nasce alla corte del re Salomone. Queste brevi sentenze erano la trasmissione di osservazioni fatte durante un’esperienza di governo, insegnamenti utili per coloro che avrebbero amministrato, anche in futuro, uomini e cose. Nel brano che segue l’autore, dopo aver descritto l’atteggiamento da avere nei confronti di Dio (Pro 3,1-12) indica l’atteggiamento dell’uomo saggio nei confronti del proprio prossimo che deve rispecchiare, appunto, il rapporto con Dio basato sulla carità e sulla fedeltà. Vangelo: Nel passo parallelo di Mt (8,15) la lucerna deve fare luce a chi sta dentro, per Lc, invece, serve a chi entra da fuori. Si tratta di un chiaro riferimento ai Gentili che stanno per entrare nella comunità cristiana. La conclusione si riferisce all’accoglienza o meno della Parola di Gesù: una sincera accoglienza porta ad una sempre maggiore comprensione e un minor rischio di non accoglierla in futuro.

La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce – Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce. Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».

Riflessione: «Fate attenzione dunque a come ascoltate». Per riprendere la parabola del Seminatore, proclamata sabato scorso e di cui il Vangelo di oggi è il seguito, possiamo affermare che Gesù esorta ad essere buon terreno: il frutto non dipende da quanto ascoltiamo o da cosa ascoltiamo, quanto piuttosto dal come ascoltiamo. Dicevamo l’altro ieri a proposito del seme, che il prodotto dipende da come il terreno lo accoglie, lo alimenta e lo custodisce. Con altre similitudini, anche oggi Gesù conferma questa verità. Qualcuno potrebbe dire: “il seme della Parola mi ha raggiunto”, ma come lo hai accolto? E così, andando alla parabola dell’odierno Vangelo, uno potrebbe dire: “io sono lampada accesa; la fiamma della fede in Dio arde in me; tale fiamma la alimento con la preghiera e con tante pratiche di pietà”. Bello, certamente, ma non basta! Perché la lampada sia utile non basta accenderla, non basta che sia ben alimentata, ma bisogna vegliare perché non rimanga coperta o non sia posta sotto un letto, lasciando di fatto al buio l’intera casa. È vero anche il contrario: non ha senso metterci in alto e al centro se rimaniamo spenti o con una fiammella debolissima: la casa rimarrà comunque al buio! Allora da una parte chiediamoci se siamo lampade accese, chiediamocelo pensando a quella “luce di Cristo” ricevuta il giorno del nostro Battesimo: fiamma che sempre dobbiamo alimentare! È ancora accesa tale fiamma? Abbiamo fede in Dio, ci fidiamo di lui? Alimentiamo la lampada della fede con l’olio della Parola? Permettiamo alla fiamma dello Spirito di risplendere in noi attraverso il bruciare dello stoppino, segno della nostra preghiera, della riparazione, dell’offerta di noi stessi? Siamo dunque luce di Cristo? Ma non basta gloriarci di essere fiamma viva e ardente, dobbiamo andare oltre: dove poniamo tale fiamma? Chi illuminiamo? Come illuminiamo? Le nostre parole, i nostri atteggiamenti, i nostri giudizi, i nostri esempi, il nostro apostolato, come si esprimono? Oggi abbiamo dato luce al mondo, o come pensiamo di darla? Possiamo affermare di essere posti in alto, a servizio dell’intera casa, perché tragga luce dalla nostra luce o rimaniamo sotto il letto felici di splendere ma sterili e quindi inutili?

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: Il giusto abiterà sulla tua santa montagna, Signore (cfr. Sal 14) – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 4 Febbraio 2004): Sulle facciate dei templi egizi e babilonesi erano talvolta incise le condizioni prerequisite per l’ingresso nell’aula sacra. Ma è da notare una differenza significativa con quelle suggerite dal nostro Salmo. In molte culture religiose è richiesta, per essere ammessi davanti alla Divinità, soprattutto la purità rituale esteriore che comporta abluzioni, gesti e vesti particolari. Il Salmo 14, invece, esige la purificazione della coscienza, perché le sue scelte siano ispirate all’amore per la giustizia e per il prossimo. In questi versetti si sente, perciò, vibrare lo spirito dei profeti che ripetutamente invitano a coniugare fede e vita, preghiera e impegno esistenziale, adorazione e giustizia sociale (cfr. Is 1,10-20; 33,14-16; Os 6,6; Mic 6,6-8; Ger 6,20).

Undici impegni per stare alla presenza del Signore (cfr. Sal 14) – Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 4 Febbraio 2004): Veniamo ora agli undici impegni elencati dal Salmista, che potranno costituire la base di un esame di coscienza personale ogni qual volta ci prepariamo a confessare le nostre colpe per essere ammessi alla comunione col Signore nella celebrazione liturgica. I primi tre impegni sono di ordine generale ed esprimono una scelta etica: seguire la via dell’integrità morale, della pratica della giustizia e, infine, della sincerità perfetta nel parlare (cfr. Sal 14,2). Seguono tre doveri che potremmo definire di relazione col prossimo: eliminare la calunnia dal linguaggio, evitare ogni azione che possa nuocere al fratello, frenare gli insulti contro chi vive accanto a noi ogni giorno (cfr. v. 3). Viene poi la richiesta di una scelta chiara di posizione nell’ambito sociale: disprezzare il malvagio, onorare chi teme Dio. Infine si elencano gli ultimi tre precetti su cui esaminare la coscienza: essere fedeli alla parola data, al giuramento, anche nel caso in cui ne seguono per noi conseguenze dannose; non praticare l’usura, piaga che anche ai nostri giorni è una infame realtà, capace di strangolare la vita di molte persone, ed infine evitare ogni corruzione nella vita pubblica, altro impegno da saper praticare con rigore anche nel nostro tempo (cfr, v. 5). Seguire questa strada di decisioni morali autentiche significa essere pronti all’incontro col Signore.

La lampada si pone su di un candelabro – Giovanni Paolo II (Omelia, 1 Dicembre 1985): Un saluto particolare, un plauso e una parola di incoraggiamento a tutti coloro, tra voi, che dedicano con speciale impegno alla diffusione della parola di Dio e all’educazione delle coscienze dei fanciulli, dei giovani e degli adulti. Vi esorto tutti – sacerdoti, religiosi, religiose e laici – ad intensificare con coraggio, pazienza e perseveranza il vostro impegno evangelizzatore, catechetico e missionario, nell’intento di trasmettere a un numero quanto maggiore possibile di anime quella fede che è ragione e forza morale della vostra vita.

L’indissolubilità del matrimonio, la fedeltà, sono fiamme poste sul candelabro – Card. Alfonso López Trujillo (La Famiglia: dono e impegno. Speranza dell’umanità): La donazione totale implica il dovere della fedeltà. È una forma concreta di dono che impegna e libera. Un amore fedele è anche e radicalmente indissolubile. Libera dal timore di tradire e d’essere tradito e fornisce alla sorgente della vita la garanzia e la trasparenza a cui i figli hanno diritto. Antonio Miralles scrive: “anche la mutua donazione personale dei coniugi esige l’indissolubilità del reciproco legame che essi hanno stabilito con tale donazione. Essa è totale e perciò esclude ogni provvisorietà, ogni donazione temporanea. (…) Il vincolo coniugale presenta un carattere definitivo, in quanto scaturisce da una donazione integrale, che comprende anche la temporalità della persona. Il donarsi con la riserva di potersi svincolare in futuro, significherebbe una donazione non totale, al contrario di quella che fa nascere un vero matrimonio”. Infatti bisogna dire che la fedeltà, l’indissolubilità, la definitività, sono essenziali per la qualità del dono. Qui si radica l’impegno, l’obbligatorietà del dono, impegno che s’apre anche ed essenzialmente al dono della vita e che diventa testimonianza pubblica nella Chiesa e nella società. È luce, fiamma posta sul candelabro.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: La lampada si pone sul candelabro – “«Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio». Di nuovo, con queste parole, Gesù invita i suoi discepoli a condurre una vita irreprensibile, raccomandando loro di sorvegliare se stessi costantemente, poiché sono sotto gli occhi di tutti gli uomini, come atleti in uno stadio visto da tutto l’universo [1Cor 4,9]. Dichiara loro: «Non dite tra voi: ‘possiamo ora stare seduti tranquilli, siamo nascosti in un angolino del mondo’, poiché infatti sarete visibili da tutti gli uomini come una città collocata sopra un monte [Mt 5,14], come nella casa una lucerna messa sul lucerniere… Io ho acceso la luce della vostra lucerna, spetta a voi custodirla, non solo a vostro vantaggio personale, ma nell’interesse pure di quanti la scorgeranno e saranno, da essa, condotti alla verità. Le peggiori cattiverie non potranno gettare ombra sulla vostra luce, se vivrete nella vigilanza di coloro che sono chiamati a condurre il mondo intero verso il bene. La vostra vita dunque corrisponda alla santità del vostro ministero, affinché la grazia di Dio sia dovunque annunciata»” (Giovanni Crisostomo).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: La lampada si pone sul candelabro, perché chi entra veda la luce, praticamente, una esplicitazione pratica della massima evangelica: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,13). Un proseguo della missione di Cristo che amò definirsi luce del mondo (Gv 8,12). Il tema della luce è molto caro alla sacra Scrittura. L’essere di Dio è luce, in contrasto con l’essere umano che è tenebra. La Parola, l’insegnamento sono luce (cfr. Sal 119,5; Pro 6,23). Possiamo ricordare ancora l’invito rivolto a Israele: «Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). In Is 42,6 e 49,6 Israele è chiamato «luce delle nazioni». Nel giudaismo l’immagine della luce «veniva riferita volentieri alla Legge o al Tempio, come anche ad eminenti personalità religiose. Qui si vuole insinuare che questa prerogativa passa al nuovo popolo di Dio» (Angelo Lancillotti). Per i cristiani convertirsi dalle tenebre alla luce (At 26,18) per credere alla luce (Gv 12,36) è un imperativo improrogabile, così è un impegno fruttuoso quello di far risplendere la propria luce davanti agli uomini, perché vedano le loro opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli. Essere luce della terra, ovvero camminare come figli della luce (Ef 5,9), è un servizio di alto valore costruttivo, rivolto a tutto il consorzio umano unicamente per la gloria Dio e non per amore di trionfalismo o per accaparrarsi i primi posti nella Chiesa e in mezzo agli uomini.

Santo del giorno: 24 Settembre – Beata Incarnazione Gil Valls, Vergine e martire: Encarnación Gil Valls, fedele laica, nacque a Onteniente (Valencia) il 27 gennaio 1888, fu battezzata il medesimo giorno e cresimata il 24 maggio 1893. Ricevette la prima comunione nel 1899 nella chiesa parrocchiale di Santa Maria. Insegnante di scuola elementare e donna di preghiera trasmise ai suoi allievi la fede in Dio. Aderì all’Azione Cattolica e ad altre associazioni apostoliche, specialmente quelle per il culto all’Eucaristia, fu anche una catechista molto efficace. Dedita alle opere di carità, per non abbandonare il suo fratello sacerdote, Don Gaspar, il 24 settembre 1936, donò la vita per Cristo nel Porto di Ollería (Valencia). La sua beatificazione è stata celebrata da Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001.

Preghiamo: O Dio, che nell’amore verso di te e verso il prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa’ che osservando i tuoi comandamenti meritiamo di entrare nella vita eterna. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

 

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