luglio, meditazioni

25 Luglio 2018

25 Luglio 2018 – Mercoledì – San Giacomo apostolo (Festa) – (2Cor 4,7-15; Sal 125[126]; Mt 20,20-28) – I Lettura: Il tema della fragilità dell’essere umano è molto caro a san Paolo che lo riprende più volte: è nella debolezza del “mezzo” che si manifesta la potenza di Dio (cfr. 2Cor 12,7-10). Le prove e le persecuzioni temperano l’uomo esteriore e mettono in risalto la forza dell’uomo interiore e dello Spirito che è in lui. Paolo scrive questa lettera ai Corìnti in seguito alla comparsa di alcuni suoi oppositori all’interno della comunità. Questi predicatori, secondo alcuni studiosi, provenivano dalla Palestina ed erano molto più raffinati dei giudaizzanti che erano apparsi nella Galazia. Si presentavano come dei superuomini, convinti di avere il potere di trasformare anche gli altri in superuomini come loro. A questa autosufficienza, Paolo contrappone l’importanza della sofferenza di Cristo e delle tribolazioni del vero missionario cristiano. Salmo: “Avevamo la faccia rivolta verso il mondo e le spalle a Dio; questi ci ha fatto tornare perché camminiamo rivolti a lui e con le spalle al mondo, noi che sospiriamo verso la patria. Eravamo venduti al peccato; ci eravamo resi schiavi, avendo acconsentito al seduttore. Al ritorno dalla schiavitù, cantiamo questo salmo” (Agostino). Vangelo: Anche noi, come i figli di Zebedèo, non sappiamo quello che chiediamo. I nostri desideri pur buoni e sinceri, sono spesso a misura del nostro piccolo orizzonte e stentiamo ad aprirci all’orizzonte sconfinato della Volontà di Dio. Chiedevano un posto d’onore nel gruppo apostolico e Dio preparava per loro un posto d’onore al cospetto degli Angeli e delle Potestà a condizione però di seguire la via tracciata dal Maestro che è venuto per servire e donare la vita.

Il mio calice, lo berrete – Dal Vangelo secondo Matteo: In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Riflessione: «Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo». Non è mai inutile approfondire la dimensione del nostro dovere di servizio, anzi di schiavitù verso Dio e verso il prossimo! Non sarà mai abbastanza, il soffermarci e il confrontarci con questo imperativo di Gesù: tra noi non può essere come è nel mondo! Nel mondo c’è l’arrivismo, la carriera, ma anche i diritti, il riposo, la pensione… La nostra fede non può essere vissuta come una cosa di questo mondo, non può seguire le logiche di questo mondo, né deve essere adattata alle cose di questo mondo! La nostra fede, la nostra carità, il nostro servizio ai fratelli, la nostra testimonianza evangelica, la nostra missionarietà, il nostro zelo, la nostra preghiera… non possono conoscere contabilità, non possono vivere di confronti (quanto ho fatto io e quanto hanno fatto gli altri), o meglio, l’unico confronto è Cristo che ha amato senza misura; Cristo che pur essendo il primo si è fatto il servo di tutti; Cristo che pur essendo Dio si è fatto schiavo per amore; Cristo che non ha tenuto conto della sua dignità divina ma spogliò e umiliò se stesso per noi; Cristo che, pur essendo Maestro e Signore, non è venuto per essere servito ma per servire; Cristo che è morto per darci la vita; che ha pagato per noi mentre eravamo ancora peccatori, lontani dal suo cuore e forse mai avremmo apprezzato, ringraziato e accolto il suo Sacrificio! Quanta è lontana la nostra fede dalla logica del servizio! Quanto sono meschini tanti nostri ragionamenti tesi a misurare, ad accontentarci, a stare attenti a non sprecarci… Ci dichiariamo servi ma guai se il prossimo, i poveri o anche Dio stesso toccano i nostri diritti, i nostri progetti, la nostra roba! Ci nutriamo dell’Agnello immolato, ma guai se ci toccano quel “posto” che difendiamo come il maggiore dei poteri quando dovrebbe essere invece il più disinteressato dei servizi (pensiamo a quante meschinità nelle nostre parrocchie, a quanti scandali: per una tovaglia messa o lavata da altri e non da noi, o per una Lettura letta da altri o anche per molto meno!). Quanti scandali tra noi cristiani: diciamo che Dio è al primo posto, e passiamo le giornate a servizio dei nostri affari.

La Parola di Dio commentata dal Magistero della Chiesa: San Giacomo Apostolo – Benedetto XVI (Udienza Generale, 21 Giugno 2006): Il nome Giacomo è la traduzione di Iákobos, forma grecizzata del nome del celebre patriarca Giacobbe. L’apostolo così chiamato è fratello di Giovanni, e negli elenchi suddetti occupa il secondo posto subito dopo Pietro, come in Marco (3,17), o il terzo posto dopo Pietro e Andrea nel Vangeli di Matteo (10,2) e di Luca (6,14), mentre negli Atti viene dopo Pietro e Giovanni (1,13). Questo Giacomo appartiene, insieme con Pietro e Giovanni, al gruppo dei tre discepoli privilegiati che sono stati ammessi da Gesù a momenti importanti della sua vita. […] Vorrei… menzionare qui solo due di queste occasioni. Egli ha potuto partecipare, insieme con Pietro e Giovanni, al momento dell’agonia di Gesù nell’orto del Getsemani e all’evento della Trasfigurazione di Gesù. Si tratta quindi di situazioni molto diverse e l’una dall’altra: in un caso, Giacomo con gli altri due Apostoli sperimenta la gloria del Signore, lo vede nel colloquio con Mosé ed Elia, vede trasparire lo splendore divino in Gesù; nell’altro si trova di fronte alla sofferenza e all’umiliazione, vede con i propri occhi come il Figlio di Dio si umilia facendosi obbediente fino alla morte. Certamente la seconda esperienza costituì per lui l’occasione di una maturazione nella fede, per correggere l’interpre-tazione unilaterale, trionfalista della prima: egli dovette intravedere che il Messia, atteso dal popolo giudaico come un trionfatore, in realtà non era soltanto circonfuso di onore e di gloria, ma anche di patimenti e di debolezza. La gloria di Cristo si realizza proprio nella Croce, nella partecipazione alle nostre sofferenze. Questa maturazione della fede fu portata a compimento dallo Spirito Santo nella Pentecoste, così che Giacomo, quando venne il momento della suprema testimonianza, non si tirò indietro.

La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: “Tu, uomo avevi paura di affrontare l’oltraggio dell’umiliazione. Ma è utile per te bere il calice così amaro della passione. Le tue viscere sono tumide, il petto ti si è gonfiato. Bevi l’amaro, per ritrovare la salute. Lo beve anche il medico sano; non vorrà berlo il malato indebolito? Così infatti disse ai figli di Zebedeo: Potete bere il calice? Però non disse: “Potete bere il calice degli oltraggi, il calice del fiele, il calice dell’aceto, il calice delle amarezze, il calice pieno di veleno, il calice di tutte le sofferenze?”. Se avesse detto così, più che incoraggiarli li avrebbe spaventati. Ma quando si è in compagnia si ha anche più spinta. E allora che paura hai, o servo? Quel calice lo beve anche il Signore. Che paura hai, o infermo? Lo beve anche il medico. Che paura hai, o infiacchito? Lo beve anche il sano. Potete bere il calice che io sto per bere? E quelli, desiderosi di cose sublimi, ignari delle loro forze, promettendo cose che non avevano ancora, risposero: Lo possiamo. E Gesù: Bene. Il mio calice voi lo berrete, perché sono io che vi dono di berlo, io che da deboli rendo forti voi [che vi] credete forti, io che vi dono la grazia di poter sopportare, per bere il calice dell’umiliazione; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è già preparato per altri dal Padre mio. Se per quelli no, per quali altri? Se non lo meritano gli Apostoli, chi lo potrà meritare? Chi sono questi altri? […] Il Signore certo non disse a caso: è già preparato per altri. Chi sono questi altri? Gli umili, non i superbi. E perciò anche voi, purché siate altri, purché cioè vi spogliate della vostra superbia e vi rivestite di umiltà” (Sant’Agostino).

Silenzio / Preghiera / La tua traccia: Voi non sapete ciò che domandate – I figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, se avessero avuto la conoscenza del come si muore su una croce, l’esperienza del martirio dei flagelli romani o della tortura delle spine e se avessero saputo cosa significa sudare sangue come il Maestro, agonizzante fra mille pene fisiche e morali, il quale avrebbe di lì a poco sudato sangue nel Getsemani, certamente sarebbero stati più cauti nell’a-vanzare certe pretese! Gesù aveva annunciato diverse volte la sua morte dolorosa per mano dei pagani e in questa ambientazione la richiesta suona ancora più sorprendente. È veramente deludente che proprio alla vigilia della morte di Gesù, attorno alla sua persona si sogni prestigio sociale e gloria politica. Ma nel Vangelo, ma non sempre nella comunità cristiana, non c’è posto per l’arrivismo, il carrierismo, l’ambizione del potere e la corsa ai primi posti o agli onori. Basta osservare Gesù per comprendere che la salvezza dell’uomo imbocca strade diverse ed ha un prezzo sconvolgente. Ancora una volta i discepoli hanno mancato l’appuntamento con la Croce! La Croce “l’abbiamo inquadrata nella cornice della sapienza umana e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica. L’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. È un albero nobile che cresce sulle zolle recintate” (Rinaldo Paganelli). Se umilmente accettassimo di bere il calice di Gesù, la Croce, da strumento di tortura e di morte, si muterebbe in via regale che conduce all’eterna salvezza.

Santo del giorno: 25 Luglio – Sant’Olimpia (Olimpiade), Vedova: Nacque verso il 361 da un’agiata famiglia di Costantinopoli. Divenuta orfana in giovane età, fu affidata per l’educazione a Teodosia, sorella del vescovo di Iconio, sant’An-filochio. Fin da giovanissima, così, Olimpia fu istruita sulla Sacra Scrittura. Imitando santa Melania, si dedicò alla mortificazione, e pur potendo aspirare ad una brillante posizione nella corte imperiale, se ne allontanò. Nel 384-85 si sposò ma dopo solo venti mesi il marito morì; l’imperatore Teodosio il Grande voleva risposarla con un suo cugino, ma Olimpia rifiutò. Teodosio allora per vincere le sue resistenze le sequestrò tutti i suoi beni, che le vennero restituiti nel 391. Fu così che Olimpia ne approfittò per fondare alcune opere caritative. Il vescovo Nettario (381-397) contrariamente all’usanza, la nominò diaconessa, dignità che allora si dava alle vedove di 60 anni. Olimpia fondò in città un monastero le cui religiose appartenevano alle migliori famiglie della città. Al suo arrivo in città come arcivescovo, Giovanni Crisostomo trovò in Olimpia una valida collaboratrice. Ma fu anch’essa vittima della persecuzione contro i “giovanniti” (seguaci di san Giovanni Crisostomo). Fu infatti esiliata a Nicomedia. Morì verso il 408.

Preghiamo: Dio onnipotente ed eterno, tu hai voluto che san Giacomo, primo fra gli Apostoli, sacrificasse la vita per il Vangelo; per la sua gloriosa testimonianza conferma nella fede la tua Chiesa e sostienila sempre con la tua protezione. Per il nostro Signore Gesù Cristo…

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